La “motivazione”, analogamente a molti altri termini, è stata utilizzata diverse volte nella storia della psicologia, spesso con accenti diversi sul piano del significato. In sintonia con l’etimologia della parola, la “motivazione” indica, genericamente, ciò che sottende e sostiene le azioni del soggetto, sia che tali azioni siano attuate nell’ambito del mondo concreto (comportamento) sia che siano attuate nell’ambito del mondo astratto (pensiero).
La definizione di motivazione che verrà qui analizzata è quella di “tendenza innata a relazionarsi con il mondo”, il cui fenomeno prototipico è magistralmente esemplificato dall’imprinting descritto da Konrad Lorenz. Data questa definizione, mi propongo di segnalare quanto la motivazione così intesa possa costituire il concetto-base che consente di integrare i dati della conoscenza provenienti dalla biologia, dalla psicologia e dalla sociologia per la costruzione di una teoria biopsicosociale della mente umana.
In quanto “tendenza innata”, la motivazione, o, meglio come vedremo, le motivazioni di cui siamo dotati in quanto esseri umani, possono essere specificate facendo riferimento, in primo luogo, al campo della biologia, in generale, e, essendo noi un prodotto del processo evoluzionistico della materia vivente, al campo della neurobiologia evoluzionista in particolare. In questo campo un Autore che ha dedicato la sua vita professionale allo studio della neuroanatomia dei “sistemi motivazionali” è Jan Panksepp[1], il quale, di fatto, ha arricchito e complessificato il pionieristico lavoro di MacLean. Con riferimento alla “teoria del cervello tripartito” di MacLean, le motivazioni possono essere distinte in classi diverse -rettiliane, limbiche, neocorticali-. Tali classi hanno tra esse un rapporto di tipo gerarchico, espressione del progressivo aumento di complessità strutturale dell’azione connessa alla motivazione (dal riflesso rettiliano all’azione programmata neocorticale) e del progressivo aumento delle capacità di autoregolazione dell’azione da parte del soggetto (dall’automatismo rettiliano all’autocoscienza neocorticale). Tale gerarchia è, al contempo, dinamica, nel senso che la motivazione che attualmente sostiene l’azione del soggetto, dipende dal rapporto, sempre mutevole, tra lo stato dei bisogni del soggetto (di cui la motivazione è lo strumento attuativo) e il contesto ecologico attuale (in cui è presente l’ “oggetto” che soddisfa il bisogno).
In quanto “tendenza innata a relazionarsi con il mondo” l’attività rappresentativa connessa alle motivazioni deve fondarsi sulla combinazione associativa tra contenuti relativi al soggetto (lo stato dei bisogni) e contenuti relativi al mondo (gli “oggetti” che soddisfano i bisogni): la motivazione, quindi, è un costrutto squisitamente relazionale. La scoperta del fenomeno della “risonanza”[2] come processo neurofisiologico diffuso in tutto il sistema nervoso centrale, conferma in modo inequivocabile il fondamento relazionale dell’attività rappresentativa sostenuta dal sistema.
In ambito psico-sociologico, l’adozione della motivazione come nucleo di riferimento per l’interpretazione dei dati della conoscenza di matrice psicosociale contribuisce a definire il “mondo” con cui si relaziona la “tendenza innata”. Tale riferimento è centrale nelle opere di Giovanni Liotti[3], e l’Autore, sulla scia di MacLean, distingue le motivazioni in: intrapersonali, la cui struttura è inscritta nel cervello rettiliano; interpersonali, la cui struttura è inscritta nel cervello limbico; sovrapersonali, la cui struttura è inscritta nel cervello neocorticale. Le motivazioni intrapersonali sono quelle tendenze innate che sostengono l’interazione con il mondo fisico al fine di soddisfare i bisogni biologici di base (connessi al metabolismo e alla riproduzione), e sono costituite dall’esplorazione, dalla consumazione e dalla difesa. Le motivazioni interpersonali sono quelle tendenze innate che sostengono l’interazione tra sé e l’altro al fine di soddisfare i bisogni connessi alla nostra natura di mammiferi, e sono costituite dall’attaccamento, dall’accudimento e dall’agonismo. Le motivazioni sovrapersonali, che soddisfano i bisogni connessi al nostro essere mammiferi ipersociali e culturali, sostengono le tendenze innate a relazionarsi: con il gruppo di appartenenza, tramite la coalizione, la pacificazione e la cooperazione; con la società di appartenenza, tramite i copioni di ruolo sociali. E’ significativo rilevare che in ambito psicodinamico una teoria motivazionale per molti aspetti sovrapponibile a quella di Liotti è offerta da Lichtenberg[4] e che entrambe le teorie hanno notevoli sovrapposizioni con quella, di marca neurobiologica, elaborata da Panksepp.
Con riferimento alla teoria motivazionale delineata da Liotti, è possibile correlare l’attività dei diversi livelli motivazionali con l’attività propria delle funzioni mentali classicamente intese, e in particolare: correlare l’attività delle motivazioni intrapersonali (rettiliane) con la percezione; l’attività delle motivazioni interpersonali (limbiche) con l’emozione semplice; l’attività dei diversi livelli delle motivazioni sovrapersonali (neocorticali) con, rispettivamente in senso gerarchico, l’emozione complessa, il linguaggio, l’autocoscienza[5].
Le diverse “tendenze innate a relazionarsi con il mondo” maturano durante lo sviluppo individuale, secondo una traiettoria temporale che segue, grosso modo, le direttrici costituite dal gradiente di complessità rappresentativa, per cui le diverse fasi della psicologia dello sviluppo possono essere descritte come fasi relative alla maturazione delle diverse classi motivazionali[6]. In quest’ottica le caratteristiche proprie dell’ecosistema fisico, interpersonale e socioculturale, costituiscono i fattori ambientali di rischio o protettivi rispetto allo sviluppo disfunzionale o funzionale del soggetto.
Infine, la stretta correlazione inscritta in un simile modello biopsicosociale tra i diversi livelli di complessità dell’attività mentale (percezione, emozione, linguaggio, autocoscienza) e i diversi contesti interattivi (fisico, interpersonale diadico, interpersonale gruppale, socioculturale), consente di ordinare in uno scenario integrato e unitario i diversi possibili contesti dell’intervento terapeutico (somatico, psicoterapeutico individuale, psicoterapeutico gruppale, psicoterapeutico familiare, socioriabilitativo).
In conclusione, la costruzione di un modello della mente umana autenticamente biopsicosociale richiede necessariamente il preliminare riferimento ad un costrutto concettuale transdisciplinare, in assenza del quale i modelli teorici che aspirano ad integrare in una visione unitaria i dati di conoscenza provenienti dalla biologia, dalla psicologia, dalla sociologia, si riducono a contenitori di informazioni bio/psico/sociali che ripropongono, di fatto, nella rappresentazione della mente umana la frammentazione propria degli ambiti della conoscenza umana. In quest’ottica, la costruzione di modelli biopsicosociali in grado di integrare in una visione unitaria i diversi dati della conoscenza della mente umana, non risponde semplicemente ad un estetico requisito di armonia concettuale, ma risponde soprattutto all’esigenza, sul piano clinico, di ordinare in una scenografia unitaria gli interventi terapeutici che si avvalgono, come prassi sempre più diffusa, di una molteplicità di contesti e di strumenti di intervento.
[1] Panksepp I.: Affective Neuroscience. The Foundations of Human and Animal Emotions, Oxford University Press, New York, 1998.
[2] Rizzolatti G., Sinigaglia C.: So quel che fai. Il cervello che agisce e i neuroni specchio. Cortina editore, Milano, 2006.
[3] Liotti G.: La dimensione interpersonale della coscienza, Carocci editore, Roma, 2005.
[4] Lichtenberg J.: Psicoanalisi e sistemi motivazionali, Cortina editore, Milano, 1995
[5] Blundo C., Ceccarelli M.: L’organizzazione gerarchico-strutturale del sistema nervoso centrale: l’evoluzione della mente, in Blundo C. (a cura di) Neuroscienze cliniche del comportamento, Elsevier, 2011
[6] Ceccarelli M.: L’organizzazione gerarchico-funzionale della mente: lo sviluppo dei processi mentali, in Blundo C. (a cura di) Neuroscienze cliniche del comportamento, Elsevier, 2011
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