EVOLUZIONISMO E SCIENZE UMANE – rubrica a cura di Cristiano Ardovini (presentazione di Antonio Onofri)
“SENTIO, ERGO SUM“
La teoria della coscienza di Antonio Damasio
Antonio Damasio: Sentire e conoscere. Storia delle menti coscienti
Adelphi, Milano 2022, pagine 211, Euro 14.00 (recensione di Cristiano Ardovini)
Il lungo viaggio intrapreso da Antonio Damasio nell’elaborazione della sua teoria della coscienza parte nel 1995 con la pubblicazione di L’errore di Cartesio, in cui il neuroscienziato portoghese inizia a tratteggiare il ruolo centrale esercitato dalle emozioni nella comparsa dell’autocoscienza. Di acqua sotto i ponti da allora ne è passata molta. La teoria è stata ampliata, affinata e rivista attraverso un articolato processo epistemologico, che è alfine culminato nella pubblicazione del volume Feeling and knowing: making mind conscious, datata ottobre 2021, seguita nello scorso gennaio dalla sua traduzione italiana, Sentire e conoscere. Storia delle menti coscienti, curata da Adelphi e focus di questa recensione.
Il titolo del volume, è evidente, ne anticipa e definisce i contenuti, sottolineando al contempo e in modo inequivocabile quanto il sentire e il conoscere si integrino nel progressivo processo di costruzione delle menti coscienti, in palese continuità concettuale con il nucleo fondativo delle riflessioni de L’errore di Cartesio.
La prima impressione evocata dalla lettura dell’ultima fatica di Damasio è che il volume nasca dal desiderio dell’autore di fornire una sintesi articolata del proprio complesso percorso conoscitivo, impressione corroborata dai contenuti della prefazione. Damasio, infatti, racconta come in occasione della sua intensa attività didattica si fosse progressivamente reso conto, attraverso le domande e il confronto dialogico con colleghi e studenti, della necessità di un’opera di snellimento e revisione dei concetti cardine della sua teoria. E come di conseguenza avesse accolto di buon grado l’invito del suo editore di scrivere una nuova opera in cui riassumere, in forma agile e il più possibile concisa, le conclusioni a cui era giunto nel corso delle proprie pluriennali ricerche. Obiettivo che, nell’opinione di chi scrive, sembra essere stato pienamente raggiunto, tanto da poterne consigliare la lettura non solo a chi di Damasio ne conosca già l’elaborazione teorica ma anche e soprattutto a chi voglia per la prima volta avvicinarvisi.
La cornice epistemologica di riferimento integra teoria dell’evoluzione e neuroscienze, nello specifico per quanto riguarda l’area delle neuroscienze affettive, di cui Damasio, insieme a Joseph LeDoux e Jaap Panksepp (scomparso alcuni anni or sono), tra gli altri, è indiscusso referente nel panorama internazionale.
Per Damasio, lo sviluppo di un’adeguata teoria neuroscientifica della coscienza deve trovare i suoi fondamenti non solo nello studio del sistema nervoso e del cervello in quanto suo centro di controllo, ma anche e soprattutto del corpo, di cui il sistema nervoso è parte integrante a al cui interno è contenuto. Corpo che diventa sinonimo di vita, e di riflesso, della sua regolazione, affidata all’insieme di processi fisico-chimici che confluiscono nell’omeostasi, definendola.
Ed è proprio dall’omeostasi che parte il viaggio conoscitivo di Damasio, alla ricerca di una caratterizzazione delle diverse tappe che, nell’amplissimo tempo della filogenesi, si sono succedute favorendo la conquista dell’autocoscienza. A tal punto che la prima sezione del volume, intitolata Essere, è dedicata alla sua esplorazione, e si pone come prodromo per le successive. Si premura, l’autore, di avvertire il lettore che il percorso presenterà le sue asperità e che, con la finalità di alleggerirlo, si renderà necessario identificare e definire alcuni concetti chiave, in grado di guidarne e vincolarne la direzione.
Intelligenze, mente e capacità di sentire gli sembrano i candidati più plausibili, a patto che si proceda ad una loro precisa caratterizzazione, avvalendosi di concetti derivati da ambiti conoscitivi molteplici, quali biologia, biologia evolutiva, neuroscienze, psicologia, filosofia della mente. Si conferma, sin da queste premesse, quanto l’impianto teorico proposto sia multidisciplinare e di ampio respiro, e quanto impegnativo lo sforzo richiesto per costruire un quadro d’insieme integrato e coeso.
Il viaggio in cui Damasio accompagna il lettore prende il suo abbrivio, come detto, dalla vita e dal suo governo omeostatico, di cui si fa sinonimo. Ogni organismo vivente, indipendentemente dalla sua complessità, è guidato dalla motivazione a sopravvivere e, laddove possibile, a prosperare, spinto da quel conatus di cui parlava Baruch Spinoza, filosofo del Seicento. Il concetto è stato più volte impiegato da Damasio nei suoi scritti, a partire dal volume del 2003 intitolato per l’appunto Alla ricerca di Spinoza, a testimonianza dell’ammirazione che il neuroscienziato portoghese ha nutrito e nutre per il pensatore olandese.
Garanti di un efficiente perseguimento di quel conatus sono i principi omeostatici che guidano l’agire intelligente di un organismo, inteso nel significato della sua relativa efficacia a risolverne i problemi legati alla sopravvivenza e/o ad escogitare strategie favorevoli alla sua prosperità. Batteri e piante, secondo questa prospettiva, sono organismi intelligenti a tutti gli effetti, malgrado manchino di un sistema nervoso. La loro è, secondo Damasio, intelligenza recondita, perché non sostenuta da rappresentazioni mentali dei diversi stimoli sensoriali, il cui rilevamento condiziona la programmazione di azioni “omeostaticamente” finalizzate. Rilevamento, si badi bene, non percezione, che richiederebbe dispositivi sensoriali specializzati e un cervello in grado di elaborarli e rappresentarli. Eppure, questa capacità, una sorta di cognizione in nuce, embrionale, coadiuvata da quella deputata a “organizzare” comportamenti “omeostatici”, per quanto grezza possa apparire, svolge egregiamente la funzione a cui è preposta. Come dimostra l’«ostinata» capacità di sopravvivenza dimostrata da organismi procarioti, come i batteri, da quando, ormai 4 miliardi di anni or sono, hanno fatto la loro comparsa sul palcoscenico della Terra, inaugurando in senso stretto l’esordio della vita sul nostro pianeta. Preziosa, quindi, ma non l’unica forma disponibile per gli organismi viventi, perché nel tempo filogenetico è stata affiancata, non sostituita, dall’intelligenza che Damasio definisce esplicita. D’altronde, uno dei concetti portanti della teoria dell’evoluzione è che quando la selezione naturale scova un “buon trucco” (felice espressione coniata dal filosofo Daniel Dennett), tende a conservarlo, integrandolo ad altri nel corso del tempo della filogenesi, piuttosto che “cassarlo”. Lo stesso principio si applica al caso delle intelligenze, recondita più esplicita, allora, per ogni organismo dotato di un sistema nervoso. Dove la prima continua a palesare la propria presenza e attività attraverso manifestazioni quali riflessi, abitudini e comportamenti emozionali.
Ma cosa intende Damasio quando parla di intelligenza esplicita? Fa riferimento ad una facoltà composita, in cui gli elementi costituenti poggiano sulle diverse funzioni del Sistema Nervoso e del suo cervello, che nel pensiero dell’autore diventa il vero elemento distintivo e “separatore” nell’organizzazione filogenetica delle specie viventi, distinguendone due grandi categorie, chi del sistema nervoso è dotato e chi non. Questa forma di intelligenza è esplicita in quanto si avvale di immagini, rappresentazioni mentali dei diversi stimoli sensoriali che al cervello vengono convogliati dai dispositivi deputati alla loro registrazione e trasmissione. Le immagini diventano la sostanza stessa della mente, la sua struttura profonda, la materia di base degli stati mentali, l’essenza di tutta la conoscenza a disposizione dell’organismo, momento per momento. E sulle immagini, arricchite dalla qualità della coscienza, agisce poi quell’insieme di funzioni cognitive definite “intellettuali” da Damasio, quali ragionamento, pensiero creativo, capacità di pianificazione e linguaggio, tanto sviluppate nella specie umana, e che determinano sviluppo e articolazione delle culture. Ovvero, di quell’insieme di idee, tecnologie, tradizioni, istituzioni, in un termine dell’ethos, che, pur nella sua specificità, cerca di assolvere, in forma più flessibile e creativa rispetto all’intelligenza recondita, agli stessi imperativi omeostatici legati al buon governo della vita.
Ben si coglie, nelle pieghe di questa riflessione del neuroscienziato portoghese, l’idea che la cultura vada interpretata come un fenomeno dalla natura essenzialmente biologica ed evoluzionistica. Una tale prospettiva era già stata descritta in modo approfondito e con dovizia di particolari nel volume precedente, dal titolo Lo strano ordine delle cose, pubblicato nel 2018, e sembra affiancarsi, per certi versi, ad angolature analoghe, come quella proposta dall’antropologo evoluzionista Michael Tomasello nei suoi lavori, come per esempio nel volume pubblicato nel 2019 dal titolo Diventare umani, che ne rappresenta un’eccellente revisione aggiornata. Per Tomasello, infatti, lo sviluppo della cultura, intesa come condivisione e trasmissione sincronica e diacronica del patrimonio conoscitivo tra individui, deriva dall’evoluzione, in termini filogenetici e ontogenetici, di una motivazione primaria all’intenzionalità condivisa. Indicata anche con il termine di motivazione cooperativa paritetica, prevede radici biologicamente fondate e rappresenta la vera essenza dell’«essere esseri umani», tratto distintivo della nostra specie “ultracoooperativa” rispetto a tutte le altre specie animali.
Per come la intende Damasio, la cultura non deve inoltre essere considerata prerogativa esclusiva della specie umana, visto che qualunque organismo vivente dotato di un Sistema Nervoso, più o meno complesso, è in grado di svilupparla. Il vero elemento distintivo in proposito, a suo avviso, risiede nella diversificata evoluzione evidenziata nelle diverse specie, durante il tempo della filogenesi, dalla mente e dalle risorse intellettuali, evoluzione che sembra aver raggiunto il suo apice attuale proprio nella specie umana. È da questo elemento, e solo da questo, che deriverebbe la straordinaria varietà e complessità evidenziate dalle culture umane, e non di certo dalla coscienza, le cui proprietà di base a suo avviso non sembrano presentare differenze significative tra le specie che ne sono dotate. Affermazione, quest’ultima, che richiede a Damasio la revisione, profonda, della sua idea originaria di organizzazione gerarchica della coscienza, descritta in particolare nel volume del 2012 intitolato Il Sé viene alla mente. La costruzione del cervello cosciente, attraverso i concetti di «proto-Sé», «Sé nucleare» e «Sé autobiografico». Una revisione espressa in un preciso passaggio del suo Sentire e conoscere, quando sottolinea come a oggi, alla luce delle modifiche apportate alla propria teoria, non impiegherebbe più l’espressione “coscienza estesa”, che ha caratterizzato negli anni il suo approccio allo studio della coscienza, per sostituirla, come poi in realtà ha deciso di fare, con quella di “mente estesa”.
Se si torna alla definizione di intelligenza esplicita proposta da Damasio, diventa evidente come la mente, il secondo dei concetti richiesti per comprendere la conquista della coscienza, ne sia uno dei costituenti fondanti. Indissolubilmente legata al cervello, di cui ne rappresenta una delle forme della sua attività, si compone di un flusso ininterrotto di immagini, rappresentazioni di percetti di molteplici stimoli attuali o passati. Le immagini legate alla dimensione storica sono archiviate in forma codificata nei magazzini della memoria individuale, depositaria dell’identità del singolo organismo, e possono essere riattivate dal loro stato di quiescenza per l’intervento attivo di specifici contesti, portando alla loro rievocazione per mezzo di un complesso processo ricostruttivo.
E nel mondo variegato e incessante del flusso di immagini di cui la mente è colma in ogni suo attimo, ruolo centrale per la teoria di Damasio è rivestito dalle immagini degli stimoli enterocettivi, rappresentazioni dei panorami del corpo, indicato dall’autore con la qualifica di “antico” in senso filogenetico e distinto dal mondo del corpo “più recente”, di pertinenza della propriocezione. Sentimento è il termine scelto per denominarle, e capacità di sentire l’espressione impiegata per cogliere l’articolato processo della loro costruzione. Eccolo il terzo ed ultimo tassello concettuale nell’impianto teorico del neuroscienziato, necessario per comprendere e spiegare lo sviluppo della coscienza. Qui, il legame con l’omeostasi si fa ancor più diretto ed esplicito, proprio perché l’enterocezione, con le immagini che ne permettono la rappresentazione mentale, registra l’andamento diacronico dei processi fisico-chimici deputati a governare, nelle profondità silenti del corpo antico, il procedere della vita, preservandola e facendola prosperare. È così che la vita dell’organismo acquisisce accesso al suo cervello, e questi, nell’atto stesso di rappresentarla nel suo fluire, viene informato della necessità di intervenire per stabilizzarne gli equilibri, quando “virtuosi”, o di modificarne l’andamento, laddove i panorami del corpo antico dovessero, per le loro caratteristiche, presentarsi forieri di pericoli per la sopravvivenza. Funzione informativa e funzione motivante, queste le loro due mansioni, guidate entrambe dalla valenza, una specifica proprietà dei sentimenti, rappresentata da qualità (piacevole/spiacevole – benessere/malessere) e intensità.
Visto che i sentimenti alle profondità omeostatiche del corpo rimandano, per definizione sono sempre omeostatici, anche se poi è possibile distinguerne due diverse classi. La prima, quella dei sentimenti omeostatici propriamente detti, rimanda a rappresentazioni delle continue e spontanee fluttuazioni delle diverse reazioni fisico-chimiche che si succedono nel mondo dei visceri. Le variegate sensazioni definiti da Daniel Stern “affetti vitali” e il sentimento del dolore somatico ne rappresentano esemplificazioni calzanti. La seconda, quella dei sentimenti emozionali, identifica le rappresentazioni delle molteplici modificazioni del corpo antico a seguito dell’attivazione delle emozioni, che per Damasio sono azioni involontarie e coordinate agite nel soma. Si pensi, ad esempio, al sentimento dell’ansia da separazione o al sentimento della vergogna, ed ecco che ci si ritrova proiettati a pieno titolo nel mondo dei sentimenti emozionali. Sentimenti come messaggeri infaticabili di informazioni dello stato dell’omeostasi, momento per momento, per l’indissolubile binomio cervello/mente, quindi. E al contempo, accompagnatori inevitabili e dialogici delle immagini mentali esterocettive, riflesso dell’attività di traduzione e trasformazione da parte delle diverse aree corticali degli stimoli sensoriali che eccitano gli organi di senso deputati a raccoglierli e a trasferirli e che di solito sembrano dominare il flusso di rappresentazioni proprio dell’attività della mente.
Ora, l’obbligatorio rimando dei sentimenti al corpo conferisce loro, secondo Damasio, uno status peculiare, che li differenzia e di molto dalle immagini esterocettive e propriocettive, quello dell’«ibridità», derivata dalla loro contemporanea appartenenza al livello del neurale e del soma. Una tale caratteristica, tra l’altro, li rende candidati plausibili nell’esercizio del ruolo di mediatori tra mente e corpo, permettendo l’integrazione tra questi due ambiti, sentita sempre più indispensabile da quando si è persa con il cogito ergo sum cartesiano. Sentio, ergo sum, allora, si potrebbe parafrasare, seguendo le orme di Damasio. Ma non con l’intento di creare una nuova dicotomia, un’ennesima contrapposizione gerarchica tra sentimento e pensiero, tra sentire e conoscere, bensì nel tentativo di riaffermare, o forse affermare, la necessità di integrare quei due processi, conservandone le rispettive e funzionali specificità.
Ora, quel loro intendere il corpo, a cui continuamente rimandano, giustifica la centralità dei sentimenti nel processo di sviluppo della coscienza, completamento del viaggio che Damasio ha iniziato con la vita e con il suo governo omeostatico. Sì, perché il loro rimandare a quello specifico corpo, mentre interagisce con il mondo, li rende autoreferenziali, ed è proprio l’autoreferenzialità la caratteristica portante della coscienza, nelle riflessioni dell’autore.
È la coscienza a rendere possibile ogni esperienza mentale, l’insieme di stati della mente dove il flusso di immagini esterocettive viene riferito all’organismo proprietario del cervello/mente che lo costruisce attraverso il ricorso all’autoreferenzialità dei sentimenti, che ne rappresentano elemento costitutivo irrinunciabile. In altri termini, è il senso di proprietà della conoscenza posseduta da quello specifico organismo che definisce la coscienza, una sorta di sua prospettiva personale, di firma. Volendo provare a sintetizzarlo in un’espressione, si potrebbe dire che colui che conosce sa di conoscere, sa ciò che conosce e sa che ciò che conosce gli appartiene. Aggiungendo che coscienza e senso di sé, nella prospettiva di Damasio, si fanno sinonimi. Sentire e conoscere, o, se si vuole, conoscere attraverso il sentire. Da questa prospettiva, la coscienza non deve essere considerata sinonimo di mente, ma una sua specifica caratteristica, come ben esprime il sottotitolo del libro. Così come la coscienza deve essere differenziata dall’attenzione, con la quale, però, intrattiene rapporti piuttosto stretti, nel senso che quest’ultima interviene nel processo di delimitazione delle dimensioni del campo di coscienza in cui fluiranno e confluiranno poi i diversi contenuti di conoscenza. Le menti coscienti, secondo Damasio, governano la vita con modalità più mirate, intenzionali e flessibili di quanto non sia possibile fare quando la coscienza non le illumini con la sua presenza. A maggior ragione nel momento in cui quelle stesse menti coscienti vengano affiancate da quelle risorse intellettuali, quali memoria, linguaggio, ragionamento e pensiero creativi, che tanto hanno contraddistinto l’evoluzione della specie umana. Ecco che si viene così a costituire quello straordinario ensemble che è l’intelligenza esplicita, in cui le diverse componenti, lavorando di concerto, arrivano a produrre il variegato melting pot delle culture umane.
A conclusione di questa recensione, vale la pena sottolineare, se ancora se ne sentisse il bisogno, la complessità e la ricchezza dell’impianto teorico di cui Damasio si avvale nel tentativo di svelare i misteri di quella funzione della mente, così ineffabile, che è la coscienza. Tenendo conto, tra l’altro, che le finalità di una recensione impediscono, a ragione, di affrontare e approfondire tutti gli elementi che caratterizzano un lavoro così articolato e di grande pregio. Forse, però, se si fosse costretti a scegliere due parole chiave in grado di rappresentarne una stringatissima sintesi, la scelta cadrebbe su vita/omeostasi e sentimenti. Proprio perché rappresentano i due concetti portanti dell’intera impalcatura delle riflessioni teoriche di Damasio in cui, e vale la pena di ricordarlo, la dimensione del biologico si staglia come organizzatore euristico irrinunciabile. Anche quando l’autore focalizza il suo occhio indagatore sul fenomeno della cultura, estendendolo, come detto, al di là della specie umana, e interpretandolo come l’insieme di strumenti, condivisibili e trasmissibili, che permettono un più flessibile e mirato perseguimento dell’omeostasi.
La prospettiva, affascinante, del neuroscienziato portoghese, viene narrata con eccellente chiarezza e ricorrendo spesso a un linguaggio letterario, se non, in alcuni passaggi, poetico, senza che la scientificità che la informa in alcun modo ne risenta. Con evidenti vantaggi per il lettore, che può incontrare argomenti tanto complessi e sofisticati senza smarrirsi dentro un panorama concettuale che spesso appare esoterico e inavvicinabile ai più, non solo ai non addetti ai lavori.
È utile, infine, per dovere di completezza, accennare al fatto che la proposta teorica di Damasio non ha, a oggi, incontrato piena condivisione nel mondo neuroscientifico con cui l’autore si interfaccia. Diverse le obiezioni, come quelle estese dallo statunitense Joseph LeDoux o dal tedesco Georg Northoff, e ancor prima dallo statunitense Gerald Edelman. Quest’ultimo, nello specifico, oltre a sottolineare la necessità di definire forme diverse di coscienza gerarchicamente organizzate, concezione da Damasio ridimensionata se non del tutto accantonata, attribuiva una rilevanza centrale al ruolo del linguaggio per il suo sviluppo.
Ora, non dovrebbe sorprendere questa pluralità di prospettive, a volte decisamente discrepanti, alla luce della più volte ribadita ineffabilità del fenomeno “coscienza”. C’è da augurarsi però che una tale molteplicità si ponga come sinonimo di ricchezza, facendosi stimolo virtuoso per proseguire l’esplorazione di un tema tanto affascinante con un’anima autenticamente collaborativa, piuttosto che ergersi a emblema di contrapposizioni tra schieramenti “nemici”, con l’inevitabile conseguenza, negativa se non perniciosa, di una sempre più accentuata parcellizzazione e individualizzazione delle conoscenze acquisite.
Cristiano Ardovini
Medico, Psicoterapeuta, ARPAS Roma
BIBLIOGRAFIA
- Damasio A. (1995). L’errore di Cartesio. Emozione, ragione e cervello umano. Adelphi, Milano.
- LeDoux J. (2016). Ansia. Come il cervello ci aiuta a capirla. Raffaello Cortina Editore, Milano.
- Panksepp J. (1998). Affective neuroscience. The foundations of human and animal emotions. Oxford University Press, New York.
- Damasio A. (2003). Alla ricerca di Spinoza. Emozioni, sentimenti e cervello. Adelphi, Milano.
- Dennett D. (1993). Coscienza. Che cosa è. Rizzoli, Milano.
- LeDoux J. (2020). Lunga storia di noi stessi. Come il cervello è diventato cosciente. Raffaello Cortina Editore, Milano.
- Northoff G. (2019). La neurofilosofia e la mente sana. Imparare dal cervello malato. Raffaello Cortina Editore, Milano.
- Edelman G. (1993). Sulla materia della mente. Adelphi, Milano.
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