Recensione a cura di Benedetto Farina
Vittorio Giuidano, Giovanni Liotti e il cucchiaio di Filippo il Macedone
Chi ha avuto la fortuna di visitare la tomba di Filippo II il Macedone forse ricorderà che tra i meravigliosi tesori rinvenuti nel corredo funebre del padre di Alessandro Magno c’è anche un cucchiaio. Si, in una teca esposto come una corona, c’è un normalissimo cucchiaio.
L’eccezionalità non sta solo nel fatto che quello è il cucchiaio di Filippo il Macedone, ma nel fatto che quel cucchiaio non è distinguibile per forma e sostanza da quelli che usiamo noi, ovvero è un prodotto tecnologico e culturale costruito circa 2500 anni fa ancora praticamente insuperato. E probabilmente insuperabile.
Esistono prodotti culturali umani come il cucchiaio o come i libri che hanno il carattere dell’insuperabilità ci ricordava Umberto Eco: “Il libro è come il cucchiaio, il martello, la ruota, le forbici. Una volta che li avete inventati non potete fare di meglio. Non potete fare un cucchiaio che sia migliore del cucchiaio.” (Eco U, Carriére JC. Non sperate di liberarvi dei libri, Bompiani, 2009). E di certi libri in particolare si può dire la stessa cosa.
Uno di questi libri insuperabili come il cucchiaio di Filippo il Macedone, nonostante il tempo che è passato da quando sono stati pensati e scritti, è Cognitive Processes and Emotional Disorders di Vittorio Guidano e Giovanni Liotti (1983) che finalmente ora, a distanza di circa un quarto di secolo è stato tradotto in italiano da un traduttore molto capace che sappiamo non l’ha tradito: Marianna Liotti.
Venticinque anni per un saggio scientifico sono molti di più dei 2500 anni del cucchiaio, per questo dobbiamo ringraziare Cecilia La Rosa e Antonio Onofri che ne hanno curato l’edizione italiana e Apertamenteweb che ha avuto il coraggio di offrire al pubblico italiano la traduzione di questo classico. Coraggio, non imprudenza, perché La Rosa e Onofri sapevano che stavano facendo un’operazione editoriale rischiosa ma di possibile successo poiché stavano recuperando uno dei cucchiai di Filippo il Macedone. Intendiamoci il libro è insuperabile non perché tutte le idee in esso contenute siano resistite alla prova del tempo e quindi scientificamente ancora valide, ma perché esso rappresenta un modello metodologico per uno psicoterapeuta cognitivista.
Un modello di ricerca teorica fondato sul metodo dell’epistemologia evoluzionista che prevede in sé che le ipotesi e le tesi scientifiche debbano cambiare nel tempo. Guidano e Liotti lo sapevano bene che alcune tesi del libro si sarebbero modificate, alcune ampliandosi grazie alla conferma dei dati empirici, altre oggetto di revisioni e in alcuni casi disconfermate dalla ricerca più recente. Eppure il libro rimane un classico (e per questo insuperabile) nel tipo di approccio metodologico sia ai temi teorici che alla pratica clinica.
Un esempio del valore del libro lo si trova già nell’introduzione dove gli Autori sembrano rispondere ad alcune attuali e ricorrenti discussioni della comunità scientifica sull’uso delle tecniche: “l’aspetto centrale del processo psicoterapeutico è l’identificazione dell’organizzazione cognitiva specifica di un paziente, dal momento che è tale conoscenza a guidare la pianificazione “strategica” dell’intera terapia, mentre le singole “tattiche” che il terapeuta potrebbe scegliere di utilizzare (per esempio desensibilizzazione in vivo vs. desensibilizzazione immaginativa, coping imagery vs. flooding, etc.) appaiono ampiamente discrezionali.”.
Antonio Semerari, che insieme ad altri esperti ha arricchito il volume con postfazioni di commento al libro, fa notare come la teoria clinica esposta nel libro, ovvero quella delle organizzazioni prevalenti di significato (depressiva, ossessiva, fobica e da disturbo alimentare psicogeno), al di là dei contenuti, sia un prezioso esempio di teoria clinica fondata sull’osservazione dei casi clinici, ancora più prezioso in considerazione della povertà, da questo punto di vista, della nosografia degli aspetti patologici della personalità basata su cluster analysis.
Potremmo fare tanti esempi per quante pagine il libro contiene ma rimando al lettore queste scoperte. Un’ultima notazione mi sembra necessaria. In quest’ultimo periodo di acceso dibattito sul ruolo della relazione terapeutica nella psicoterapia cognitiva mi sembra utile ricordare un brano di questo libro: “Nella psicoterapia cognitiva la relazione terapeutica è esplicitamente diretta al cambiamento di quegli aspetti dell’autoconoscenza del paziente che creano in lui una sofferenza non necessaria. La chiara esplicitazione di questo obiettivo e la definizione di ruoli che ne consegue conferisce alla relazione terapeutica la sua natura unica (…) Se i terapeuti affermano esplicitamente la natura cooperativa della relazione terapeutica, i pazienti non si sentono sminuiti e sentono di mantenere un controllo sulla relazione; sono dunque distolti dal considerarsi come completamente impotenti e bisognosi di protezione di fronte a un terapeuta “onnisciente (…) La cooperazione terapeutica, infine, è coerente con l’idea che il lavoro del terapeuta sia simile alla costruzione di un dibattito o di una ricerca scientifica”. Sembra scritto 25 anni fa?
Per il resto il volume è, come lo definì Michael Mahoney nell’introduzione dell’edizione originale, un “trattato ecumenico d’impressionante estensione” un’opera “entusiasmante”. Inoltre, come ha dichiarato Rita Ardito nella prefazione all’edizione italiana, esso è il manifesto del cognitivismo italiano e, aggiungo io, il caput Nili di due tra le più prolifiche tradizioni della psicoterapia cognitiva: quella post-razionalista e quella evoluzionista. E’ davvero difficile trovare un libro di psicoterapia cognitiva in Italia edito dopo il 1983 che non tragga ispirazione e traccia da quest’opera. Come si fa a non aver letto un classico? E’ come il cucchiaio di Filippo il Macedone: la sua lettura a distanza di 25 anni vi sorprenderà.
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