PER RICORDARE CHE DIVERSITÀ NON È SINONIMO DI INFERIORITÀ. Frans de Waal: “Diversi. Le questioni di genere viste con gli occhi di un primatologo”.

EVOLUZIONISMO E SCIENZE UMANE – rubrica a cura di Cristiano Ardovini (presentazione di Antonio Onofri)

Frans de Waal:  Diversi. Le questioni di genere viste con gli occhi di un primatologo.
Raffaello Cortina Editore, Milano 2022, pagine 470, Euro 28.00  (recensione di Cristiano Ardovini)

Da qualche anno, ormai, la sensibilità pubblica ha manifestato un interesse sempre più vivo e appassionato per il tema delle disparità di genere e per quello, correlato, delle pari opportunità. Il dibattito che ne è derivato ha spesso assunto toni accesi, se non a momenti apertamente conflittuali, come testimonia, in modo patente, tra l’altro, il cosiddetto movimento #metoo.

È in questa cornice che si colloca il volume qui recensito, scritto da Frans de Waal e pubblicato nella sua edizione italiana nel 2022. L’autore, noto etologo e primatologo olandese, nel corso degli anni ha pubblicato diversi altri contributi in cui le osservazioni etologiche del comportamento animale in ambiti diversi, soprattutto per quanto riguarda i primati antropomorfi, hanno favorito interessanti riflessioni sul mondo relazionale di Homo sapiens. Si pensi, ad esempio, a “La politica degli scimpanzé. Potere e sesso tra scimmie”, evocativo lavoro sulle dinamiche competitive tra i parenti più stretti della specie umana dal punto di vista filogenetico. O al recente “L’ultimo abbraccio. Cosa dicono di noi le emozioni degli animali”, dove già nel titolo si sottolineano in forma esplicita utilità e importanza del metodo comparativo quando s’intenda applicare la cornice evoluzionistica darwiniana allo studio del variegato mondo delle scienze umane. Un’operazione che de Waal ha ripetuto anche in questa sua ultima fatica editoriale, indirizzandola al contesto delle differenze di genere. L’esplorazione del tema, che a onor del vero si presenta, almeno in alcuni passaggi, forse anche fin troppo approfondita, si avvale della comparazione di un amplissimo catalogo di osservazioni sui primati antropomorfi e sulla specie umana, in diretta continuità con la cornice epistemologica degli altri suoi contributi. Ne nasce così un ponderoso volume dal taglio squisitamente etologico i cui contenuti di derivazione primatologica si integrano con osservazioni antropologiche transculturali e di psicologia evolutiva.

Come detto, è il metodo comparativo a recitare la parte del leone, in piena coerenza con il background formativo di de Waal, di cui scienze biologiche e teoria dell’evoluzione si pongono come ambiti epistemologici di riferimento. A più riprese, e per tutta l’estensione del volume, il primatologo olandese si premura di sottolineare quanto la corretta applicazione di una tale metodologia preveda la focalizzazione su specie animali filogeneticamente vicine a Homo sapiens, affinché le conclusioni derivate dai dati osservativi presentino una solida affidabilità scientifica. Ben si comprende, allora, la sua scelta di focalizzare la propria attenzione sui diversi taxa dei primati antropomorfi, e nello specifico su scimpanzé e bonobo, in virtù della loro stretta parentela con la specie umana in termini di percorso filogenetico. Non mancano tuttavia osservazioni desunte dallo studio etologico di altre specie di mammiferi, integrate, seppur con la necessaria cautela, a costituire un quadro d’insieme esaustivo ed euristicamente stimolante.

Molteplici gli ambiti su cui il primatologo olandese concentra l’attenzione nella sua esplorazione del variegato mondo delle differenze di genere, dalle modalità di gioco, sociale e non, alla dimensione del genere in senso stretto, con il tentativo di comprendere il contributo degli aspetti biologici e culturali nel definirne le caratteristiche, all’esercizio della dominanza e del potere. Il viaggio conoscitivo ad ampio respiro in cui de Waal coinvolge i lettori prosegue con la descrizione dei comportamenti aggressivi tipici dei due generi e delle cangianti pratiche legate alla scelta del partner affettivo e della sessualità, atteggiamenti omosessuali compresi. Per completarsi, poi, con l’approfondimento delle dinamiche cooperative, tema particolarmente sentito da biologi, antropologi e psicologi evoluzionistici per le sue significative implicazioni in termini di filogenesi di Homo sapiens, e delle cure parentali, che con la cooperazione condividono l’elemento fondante della prosocialità.

Molte delle osservazioni di cui il primatologo olandese dissemina il suo lavoro colpiscono per la loro capacità di sfatare alcuni miti, culturalmente sanciti, che da tempo e con pervasività permeano l’ambito delle differenze di genere. Come, ad esempio, la convinzione che il sesso femminile, in confronto a quello maschile, poco frequenti la dimensione motivazionale che gli etologi indicano con il termine di “rango”. In realtà, la sostanziale differenza risiede nelle modalità con cui quella motivazione si sostanzia, più centrate sulla violenza fisica e sulla dominanza tra gli uomini, più indirizzate sulla svalutazione umiliante e l’ostracismo tra le donne. O, ancora, come nel caso dell’affermazione, da più parti sostenuta, che sia il patriarcato l’organizzazione fondante e primigenia dei gruppi e delle società, dove è il sesso maschile a esercitare sempre e in ogni caso il ruolo dominante nella definizione e gestione delle gerarchie, e dove, di conseguenza, a quello femminile viene riservata una posizione di inevitabile e costante subordinazione. Un mito che si alimenta, in ambito etologico, delle numerose osservazioni dell’organizzazione sociale degli scimpanzé sia nel loro ambiente naturale sia in cattività, ma che non rappresenta, affatto, “tutta la storia”. Infatti, è sufficiente indirizzare l’attenzione sui bonobo, al pari degli scimpanzé gli altri parenti più stretti della specie umana dal punto di vista filogenetico, per rendersi conto di quanto il quadro muti radicalmente. Nel senso che l’organizzazione gerarchica dei gruppi di questi primati antropomorfi è, a tutti gli effetti, un matriarcato, visto che sono le femmine, unite in vere e proprie sorellanze, a occuparne le posizioni apicali. Tali osservazioni costringono, così, a immaginare la coesistenza e commistione, nella specie umana, di una “duplice” predisposizione a un’organizzazione sociale gerarchica in funzione del genere, che potrà poi sostanziarsi in specifiche forme concrete a seguito dell’intervento di distinti fattori contingenti, ecologici e storico-culturali. O, infine, come nel caso delle cure parentali, considerate, da sempre, appannaggio esclusivo del sesso femminile. Eppure, osservazioni etologiche diverse e ripetute, come de Waal si premura di sottolineare, dimostrano che la motivazione all’accudimento della prole prevede una predisposizione biologica anche in individui di sesso maschile appartenenti a specie diverse dei mammiferi. Certo, con ogni probabilità l’intensità con cui quel bisogno si palesa in condizioni usuali sembra più pronunciata nel mondo femminile. Ma, ogniqualvolta si vengano a configurare condizioni ecologiche adeguate, le capacità “paterne” si palesano con prontezza ed efficacia sorprendenti. Ulteriore testimonianza, tra le molte ormai disponibili, di quanto il processo di adattamento degli organismi alle diverse nicchie ecologiche dipenda e si avvalga di strategie e risorse intrinsecamente dotate di gradi più o meno elevati di flessibilità. D’altronde, caratteristiche precipue dell’ambiente sono imprevedibilità e mutevolezza, e la vita, nelle sue cangianti forme, deve sapervisi adattare, pena il rischio concreto di estinzione. Ecco perché l’idea di una rigida pre-programmazione delle risposte all’ambiente da parte degli organismi viventi ottiene sempre meno consensi nel mondo delle scienze biologiche. E il concetto di istinto, che a quell’idea faceva esplicito riferimento, è stato sostituito da quello di inclinazione o predisposizione, dove alla dimensione del biologico si affianca, integrandola, l’ambito dell’apprendimento esperienziale, necessario affinché l’inclinazione si sostanzi.

Una tale prospettiva permette di ridurre, se non annullare, l’annosa querelle legata alla dicotomia tra natura e cultura, che ha attraversato, e tuttora ancora attraversa, il dibattito tra scienze biologiche e umanistiche. E che ha ritardato, in modo colpevole e improduttivo, l’applicazione della teoria dell’evoluzione al variegato mondo delle scienze umane.

de Waal, nella sua veste di etologo, di una simile querelle è ben consapevole, tanto da dedicarvi l’intero capitolo conclusivo del proprio ponderoso lavoro. Qui, il primatologo olandese sottolinea e ribadisce l’importanza di utilizzare una cornice esplicativa squisitamente interazionista nell’approccio al tema centrale del suo libro, il genere con le sue differenze. La biologia e la cultura intervengono entrambe, con le specificità e il loro ruolo distintivo, nel determinarne gli aspetti fenomenologici. Dimenticarlo vuol dire adottare un atteggiamento scientifico riduzionista, che di certo non favorisce una migliore e più accurata comprensione dei fenomeni osservati. Una riflessione del tutto condivisibile e che può a buon diritto essere estesa anche al di là dell’ambito specifico intorno al quale ruota il libro di de Waal.

In conclusione, l’opera del primatologo olandese, amplissima nella sua portata, impegnativa ma mai noiosa alla lettura, permette, attraverso l’adozione di una solida prospettiva scientifica radicata nella tradizione etologica, di confermare e valorizzare la presenza di significative differenze di genere tra le diverse specie animali prese in considerazione, esseri umani compresi. E invita, a più riprese e in forma esplicita, a considerare che di per sé il termine differenza non veicola nel proprio dominio semantico alcun rimando a valutazioni di merito o di valore. Così, quando mondata di qualunque accezione giudicante, la diversità, vuoi in termini generali vuoi, nello specifico, riferita al genere, diventa una fonte di ricchezza a cui attingere, perché si fa sinonimo di molteplicità, piuttosto che motore per alimentare forme diverse di disuguaglianza. Impegnarsi in una tale operazione culturale implicherebbe poi la possibilità di abbandonare il tentativo, frequente e al contempo infruttuoso, di contrastare il problema delle disparità di genere attraverso il ricorso a una loro negazione e invalidazione. Infruttuoso, se non controproducente, anche perché, come de Waal ben dimostra nel proprio lavoro, quelle differenze non solo alla cultura rimandano, ma prevedono anche una dimensione radicata nella nostra biologia. E l’indubbia capacità del primatologo di trasmettere un simile messaggio, corroborandolo con il ricorso a un solido impianto teorico di riferimento, a un’estrema ricchezza delle fonti e a uno stile intrigante ed evocativo, rende il suo lavoro interessante e fruibile per un’ampia platea di lettori. Senza trascurare poi la constatazione che, al di là del tema specifico esplorato, il libro di de Waal è anche un affresco etologico aggiornatissimo sulle diverse motivazioni che nei mammiferi, in particolare primati antropomorfi e specie umana, dirigono e regolano il proprio comportamento nell’ambito del variegato mondo sociale in cui si trovano immersi, parafrasando le parole del padre della teoria dell’attaccamento John Bowlby, “dalla culla alla tomba”.

28/10/2022

Cristiano Ardovini
Medico, Psicoterapeuta, ARPAS Roma

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

  • de Waal F.: La politica degli scimpanzé. Potere e sesso tra le scimmie. Laterza, Bari 1984
  • de Waal F.: L’ultimo abbraccio. Cosa dicono di noi le emozioni degli animali. Raffaello Cortina Editore, Milano 2020

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