Antonella Montano e Roberta Rubbino, Manuale di Psicoterapia per la popolazione LGBTQIA+. Aspetti socio-culturali, modelli teorici e protocolli di intervento, Erickson, Trento 2020, pagine 383, Euro 34.00.
Partiamo innanzitutto dall’acronimo LGBTQIA+ di cui sempre più spesso si sente parlare e che, altrettanto frequentemente, viene utilizzato in modo approssimativo o del tutto inconsapevole. Storicamente, la sigla era costituita dalle sole prime quattro lettere LGBT, a indicare le persone non eterosessuali (lesbiche, gay, bisessuali) insieme a quelle transessuali. A partire dal 1996, è stata aggiunta la lettera Q del termine queer, con cui si indica chi esprime dissenso, anche politico, verso l’eteronormatività e il cosiddetto binarismo di genere. Con la successiva aggiunta della lettera I, si sono volute includere le persone che manifestano caratteristiche biologiche di entrambi i sessi (intersessuali) mentre la lettera A fa riferimento a chi si identifica nella minoranza degli asessuali. Il segno +, infine, intende riassumere tutte quelle identità che non hanno trovato posto nell’acronimo (pensiamo ad esempio agli individui pansessuali).
Credo sia sufficiente questa breve premessa per intuire la complessità e la delicatezza di una tematica che le psicoterapeute Antonella Montano e Roberta Rubbino affrontano in modo sapiente, a partire da un’analisi storico-culturale per addentrarsi progressivamente nella dimensione più psicoterapeutica e clinica. Una complessità – dicevamo – che non consente al terapeuta alcuna improvvisazione, salvo trovarsi impreparato di fronte a problematiche su cui spesso manca anche soltanto un’adeguata formazione di base. Per usare le parole delle Autrici: “non si tratta di essere gay friendly ma si tratta di essere gay informed” ossia ben informati e consapevoli della peculiarità del mondo LGBTQIA+. Un’altra insidia per il clinico è la possibilità che sia egli stesso portatore inconsapevole di stereotipi e di pregiudizi rispetto ai quali il testo ci invita a riflettere e a interrogarci. Il terapeuta potrebbe innanzitutto dare per scontato che la persona sia eterosessuale (eterosessismo), potrebbe credere che il paziente necessiti di psicoterapia per il semplice fatto di avere un diverso orientamento sessuale (eteronormatività), potrebbe pensare che la terapia con un paziente LGBTQIA+ debba essere identica a quella condotta con un paziente eterosessuale o, peggio ancora, potrebbe accettare come obiettivo terapeutico il cambiamento dell’orientamento sessuale. Attraverso atteggiamenti più sottili infine, il terapeuta potrebbe usare una retorica di tolleranza, compassione, accettazione, per mascherare i propri valori omofobi (ad esempio rispetto al tema delle famiglie non eterosessuali).
E’ fondamentale per il clinico sapere come meglio indirizzare il suo sostegno terapeutico, anche in riferimento alle ormai note evidenze scientifiche. E’ importante, ad esempio, che conosca le diverse fasi del processo di coming out e come questo, insieme al sostegno familiare e sociale, sia protettivo rispetto al rischio suicidario o all’insorgenza di eventuali disturbi di tipo ansioso depressivo. Un terapeuta efficace inoltre, è in grado di intuire la presenza di una traumatizzazione legata a omofobia sociale e bullismo, anche qualora questa sia misconosciuta dalla stessa vittima. Andando più nello specifico è importante conoscere la maggiore vulnerabilità di questa popolazione rispetto ad alcune malattie cardiovascolari, polmonari e oncologiche, e ancora, essere consapevoli di fenomeni quali il minority stress, l’omofobia introiettata, la mancanza di modelli di riferimento positivi per la vita di coppia e molto altro ancora. Tutti questi temi trovano ampio spazio nel manuale e, a mio avviso, costituiscono lo sfondo imprescindibile per un intervento clinico con questa popolazione di pazienti.
Vediamo ora il contributo più specificamente terapeutico del manuale: l’approccio epistemologico è quello cognitivo comportamentale, con particolare riferimento al lavoro di Aaron Beck. Il focus è quindi rivolto ai pensieri automatici, alle credenze intermedie e alle assunzioni di base, il tutto declinato rispetto alla specificità delle persone LGBTQIA +. Attraverso esempi e tabelle illustrative le Autrici ci aiutano a identificare quei pensieri automatici che spesso incontriamo nei pazienti, come ad esempio: “in quanto gay non riuscirò a trovarmi un fidanzato e rimarrò solo; sono una sporca lesbica; sono un depravato; – o ancora – meglio non svelare a nessuno il mio orientamento sessuale”, automatismi che possono efficacemente essere riconosciuti e messi in discussione attraverso tecniche come il disputing e il dialogo socratico.
Il lavoro terapeutico prosegue attraverso l’analisi dei tre livelli di pensiero identificati da Beck, consentendo al terapeuta e al paziente di accedere alle proprie credenze intermedie e a quelle di base, per giungere infine alla radice della sofferenza. Ma il lavoro terapeutico non si limita a questo, vi è anche l’obiettivo di aiutare il paziente a cambiare il rapporto con le proprie emozioni e sensazioni (soprattutto quelle dolorose), accompagnandolo nell’ascolto del corpo attraverso approcci e tecniche di mindfulness a cui le Autrici dedicano un capitolo specifico del testo. Un’altra componente dell’intervento riguarda infine la psicoeducazione, fondamentale sia per chiarire alcune tematiche specifiche, sia per aumentare la consapevolezza su stereotipi e pregiudizi di cui gli stessi pazienti possono essere ignari portatori.
Capitoli specifici sono dedicati al rapporto tra religione e omosessualità, al coming out, al trauma, alle relazioni di coppia, all’intersessualità, all’omosessualità nella terza età, rendendo il volume non solo ricco, ma prezioso per chiunque intenda avvicinarsi in modo più consapevole a questa popolazione di pazienti. Mi piace concludere con un passo del manuale che mi è sembrato, oltre che significativo, di grande saggezza:
“E’ necessario che i professionisti della salute facciano del loro meglio per affrontare i problemi che colpiscono i loro pazienti [LGBTQIA+], con l’umile consapevolezza che hanno ancora molto da imparare. I clinici dovrebbero considerare tutti gli errori commessi nel corso della storia ed evitare di commetterne altri nella loro pratica, aggiornando di continuo le loro competenze. Armandosi di compassione e onesta curiosità, possono riuscire a creare alleanze vantaggiose con i loro pazienti e a svolgere il proprio ruolo con successo, puntando alle cure migliori possibili”.
Fabio Presti
Psicologo, Psicoterapeuta corporeo ed EMDR, Centro Clinico de Sanctis Roma
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