LA DOMINANZA NEGLI ESSERI UMANI

EVOLUZIONISMO E SCIENZE UMANE – rubrica a cura di Cristiano Ardovini (presentazione di Antonio Onofri)

Tian Chen Zeng, Joey T. Cheng and Joseph Henrich: Dominance in humans,
Philosophical Transactions B, The Royal Society Publishing, 2022

https://royalsocietypublishing.org/doi/full/10.1098/rstb.2020.0451

(recensione e commento di Cristiano Ardovini)

 

La dominanza, espressione diretta della dimensione competitiva, rappresenta uno degli aspetti organizzativi della socialità delle diverse specie animali caratterizzate da una vita gruppale. Coordina e regola, insieme ad altre dinamiche interattive, l’incontro tra “individui”, con la funzione, specifica, di definire le gerarchie all’interno del gruppo di appartenenza, attraverso il ricorso a comportamenti aggressivi e coercitivi. In ambito etologico, viene di solito identificata con il termine di sistema di rango o agonistico, a sua volta caratterizzato dalla presenza di due distinti sottosistemi, o subroutine – di dominanza e di subordinazione.

L’articolo oggetto della recensione è una review delle caratteristiche della dimensione della dominanza nella specie umana, con il preciso intento, da parte degli autori, di dimostrare, dati alla mano, quanto il suo ruolo si mantenga significativo tra gli esseri umani per la definizione del rango/status. Una necessità nata dal recente proliferare di un certo filone di letteratura specialistica che è andato via via sempre più affermando la posizione opposta, sottolineando quanto la specie umana si sia allontanata in modo evidente da una gestione coercitiva delle gerarchie, così tipica del mondo, strettamente imparentato dal punto di vista filogenetico, degli altri primati antropomorfi, in particolare scimpanzè e bonobo.

Gli autori, Tian Chen Zeng e Joseph Henrich, biologi evoluzionisti dell’università statunitense di Harvard, e Joey T. Cheng, psicologa sociale dell’università canadese di York, organizzano il loro contributo in cinque sezioni ben differenziate e separate, dedicate a temi distinti della dimensione della dominanza. Una scelta piuttosto efficace in termini di fruibilità e comprensione del loro ragionamento, che si sviluppa così secondo una progressività integrata, anche se, a onor di verità, alcuni passaggi dell’articolo risultano “intorbidati” dalla presenza di ridondanze, sovrapposizioni e rimandi, in grado di inquinare, in una certa qual misura, la chiarezza delle loro riflessioni.

La prima sezione è dedicata alla definizione delle fondamenta teoriche della dominanza, inscrivendole nell’ambito della prospettiva evoluzionistica. Più nello specifico, il riferimento è alla teoria evolutiva dei giochi, in cui il paradigma classico della teoria dei giochi, nato nel mondo delle scienze matematiche, si integra con i modelli della genetica delle popolazioni per la determinazione delle variazioni delle frequenze geniche nei gruppi. La sua applicazione permette di considerare le gerarchie centrate sulla dominanza come una strategia evolutivamente stabile, la cui funzione adattativa rimanda alla gestione dei conflitti competitivi tra individui per l’accesso a risorse limitate, calmierandone frequenza e/o intensità. All’interno di un gruppo, così, si viene a configurare un ordine lineare di relazioni diadiche centrate su dominanza e subordinazione – ordine di beccata, per citare l’espressione con cui sono state per la prima volta descritte nel 1922 nei polli dallo psicologo e zoologo norvegese Schjelderupp-Ebb. Diversi i tratti che contribuiscono alla sua definizione, selezionati dal processo evolutivo in funzione della loro efficacia nel determinare il successo negli scontri competitivi. Si pensi, a titolo di esempio, a caratteristiche somatiche, come le dimensioni e la prestanza fisiche, la storia dell’esito di precedenti conflitti o segni cosiddetti convenzionali, come l’età o il rango ereditario. All’ambito più prettamente comportamentale, nel corso dello sviluppo filogenetico della dominanza, si è accompagnata la comparsa di una psicologia della dominanza, i cui costituenti cognitivo-emozionali hanno conferito agli individui quei livelli di flessibilità comportamentale richiesti per una navigazione efficace nel mondo delle relazioni gerarchiche. Tra gli elementi emotivi che più la caratterizzano, gli autori sottolineano l’orgoglio arrogante esperito dal dominante – “hubristic” in lingua anglosassone, da hybris, termine della tradizione greca classica -, accompagnato da da uno stile di pensiero narcisistico e da aspetti comportamentali di natura squisitamente antisociale come, tra gli altri, atteggiamenti da “bullo” e la menzogna intenzionale e manipolatoria, finalizzati al conseguimento del rango. Sebbene gli autori non ne facciano menzione esplicita nel loro contributo, inevitabile immaginare una sorta di speculare e complementare psicologia della sottomissione, visto che, si potrebbe argomentare, non può esistere dominante senza subordinato. Paura, vergogna, umiliazione, condite da sentimenti di rabbia recriminatoria e rivendicativa ne configurano, con ogni probabilità, un verosimile spaccato dal punto di vista emozionale. Circospezione, cautela, evitamento, ne compendiano la dimensione comportamentale, sostenuta e alimentata dai corrispondenti stili cognitivi.

Questa prima sezione dell’articolo, dedicata alla teorizzazione della dominanza in termini evoluzionistici, si completa con la descrizione di alcuni fattori che, nel tempo filogenetico, hanno contribuito a limitare e modulare i suoi effetti nel processo di definizione e mantenimento delle gerarchie, nella specie umana e in altri primati, in particolare antropomorfi. Come la capacità dei subordinati di fornire vantaggi e benefici che non possono essere ottenuti dai dominanti secondo modalità coercitive. O la disponibilità di opzioni percorribili di distacco dal gruppo di appartenenza. O, ancora, la possibilità di costituire coalizioni ampie tra gli individui – sodalizi di livellamento -, i cui vantaggi in termini di fitness hanno favorito il ridimensionamento del potere accentratore esercitato dai dominanti.

La seconda sezione è dedicata alla descrizione e all’approfondimento dei fattori che idiosincraticamente nella specie umana hanno determinato un ridimensionamento dell’importanza della dominanza nei processi di definizione e mantenimento delle gerarchie. Quelli identificati dagli autori, attraverso il ricorso a osservazioni etnologico-etnografiche su popolazioni contemporanee di cacciatori-raccoglitori, in quanto credibili rappresentanti degli antenati della specie nell’era del tardo Paleolitico, sono riconducibili, tutti, all’operare dell’evoluzione culturale e della coevoluzione geni-cultura. Tre, a loro avviso, i principali.

Intanto, la comparsa del prestigio, via alternativa alla dominanza per la definizione del rango/status negli esseri umani, riflesso della presenza e disponibilità di un bene ad accesso non limitato quale l’informazione culturale – conoscenze, abilità, competenze, tecnologie. Il suo sviluppo si lega inestricabilmente alla coevoluzione di quell’insieme di capacità cognitive sostanziate nel processo di apprendimento culturale, con la tendenza a scegliere come modello/i da imitare gli individui in possesso di informazioni dal valore adattivo. La modalità di definizione del rango centrata sul prestigio si accompagna all’evoluzione di una specifica psicologia, funzionale, come nel caso della dominanza, a favorire la navigazione efficace nell’ambito di un tale dominio relazionale. Ecco, allora, che sul versante del “prestigioso”, è plausibile immaginare un’esperienza emotiva organizzata intorno a una forma di orgoglio definita dagli autori con il termine “autentico”, che rimanda a successi genuini e riconosciuti dagli interlocutori. Qui, in realtà, la loro descrizione appare poco chiara e troppo sintetica, con la conseguente difficoltà per il lettore di comprenderne appieno il significato.

Quando poi ci si rivolge alla dimensione cognitiva e comportamentale della psicologia del prestigioso, si evidenziano aspetti quali prosocialità e cooperazione, accompagnati da uno stile comunicativo aperto e rispettoso delle opinioni degli interlocutori e da una modalità di perseguimento dello status che fa della ricerca del consenso il suo elemento portante. Facile che, sulla base di una tale descrizione, venga alla mente un’espressione come quella di leadership prosociale, incontrata sovente nella letteratura specialistica sull’argomento. E che sembra rimandare, secondo un’angolatura interpretativa come quella implicata dalla Teoria Evoluzionistica della Motivazione (TEM), proposta da Giovanni Liotti, a fenomeni di cooptazione del sistema motivazionale cooperativo da parte del sistema di rango o agonistico.

La psicologia del “prestigioso”, con le sue specificità, si confronta e si completa con quella, complementare, del deferente. Rispetto e ammirazione ne costituiscono gli aspetti emotivi nucleari, che vanno a sostituire la paura così patognomonica della psicologia del sottomesso. Il suo versante cognitivo e comportamentale contempla elementi quali l’imitazione, la deferenza volontaria e intenzionale e la tendenza a mantenersi, per quanto possibile, in stretta prossimità a chi quel prestigio si è visto riconosciuto, in modo da poter sfruttare occasioni, molteplici, di apprendimento sociale. Si viene così a configurare una sorta di do ut des relazionale, in cui entrambi gli interlocutori ottengono riconoscibili vantaggi dalla loro interazione.

Il secondo elemento, capace di ridimensionare la centralità della dominanza nella specie umana e riflesso dell’operare dell’evoluzione culturale e della coevoluzione geni-cultura, s’identifica con lo sviluppo delle diverse norme sociali, che nel tempo filogenetico, configurandosi in una vera e propria psicologia normativa, hanno regolato in modo via via più pervasivo le forme assunte dall’esistenza quotidiana dei gruppi.

Alcune hanno rappresentato le fondamenta per lo sviluppo di una dimensione cooperativa ed egualitaria, da cui la limitazione del potere coercitivo dei dominanti attraverso l’elaborazione di regole e leggi che ne prevedevano il sanzionamento. Interessante come una tale angolatura interpretativa dello sviluppo della cooperazione sembri non derivare, o quanto meno non del tutto, la sua comparsa sullo scenario evoluzionistico da quei fondamenti primariamente biologici riconosciuti invece nella prospettiva di altri autori che si muovono nell’alveo della teoria dell’evoluzione, tra tutti Michael Tomasello.

Altre ancora hanno favorito la costituzione di istituzioni, quali matrimonio, commerci e riti comunitari che, per le loro caratteristiche, si sono andate configurando quali modalità codificate e culturalmente legittimate in grado di favorire una certa libertà individuale di circolazione tra gruppi, ulteriore strumento di limitazione dell’influenza esercitata dai “tiranni”, attuali o potenziali.

Norme sociali, si diceva, come strumento di ridimensionamento della centralità della dominanza nella definizione dello status, Ma anche, con la stessa finalità, prodotti dell’evoluzione culturale, quali innovativi strumenti di offesa – armi da lancio -, e soprattutto diversificati repertori comunicativi – forme distinte di linguaggio -, che potevano e possono essere impiegati per organizzare in modo più efficace coalizioni di subordinati per lo spodestamento dell’alfa dominante. E non solo. Anche per scambiarsi informazioni su comportamenti e atteggiamenti sui diversi individui appartenenti al gruppo, in modo da definirne la reputazione, soprattutto in termini di inclinazione alla dominanza rispetto a quella, dal gruppo sostenuta e celebrata, alla cooperazione e all’egualitarismo. In altri termini, il tema del gossip, o pettegolezzo, su cui da tempo si è concentrato l’interesse di un certo settore dell’antropologia evoluzionistica. Senza dimenticare, di nuovo richiamando la preziosa – almeno nel pensiero di chi scrive – cornice euristica della TEM, quanto questo comportamento possa assolvere molteplici finalità, dalla protezione di un’atmosfera egualitaria – cooperazione -, allo screditamento proditorio di un avversario – rango -, alla rivalsa nei confronti di un partner affettivo che, per esempio, ha deciso di chiudere una relazione – attaccamento/sessualità. A conferma dell’utilità di un approccio multimotivazionale per la descrizione e la comprensione dell’esperienza umana, ricordando quanto affermato dal grande etologo Konrad Lorenz, citato da Cristopher Boehm, secondo cui ogni individuo è “un parlamento di istinti”.

Quindi, prestigio, norme sociali e diversificati prodotti culturali come fattori di modificazione e attenuazione della centralità della dominanza per la definizione delle gerarchie nella specie umana, derivati dall’operare dell’evoluzione culturale e della coevoluzione geni-cultura. D’accordo. Ma modificazione e attenuazione come sinonimi di scomparsa o di ridimensionamento profondo? Secondo gli autori, assolutamente no, come esplicitato a chiare lettere, appunto, già nell’introduzione. E al di là del riferimento alla continuità filogenetica, nei termini di omologia, tra aspetti etologici e psicologici della dominanza riconoscibile nei primati antropomorfi e umani, corroborano la loro affermazione citando numerosi dati sperimentali, osservazionali e antropologici, alla cui descrizione è dedicata l’intera terza sezione del contributo, suddivisa a sua volta in due distinti paragrafi in base all’età dei soggetti utilizzati dalle ricerche citate, infanzia e adolescenza per il primo, età adulta per il secondo.

Qui, verrebbe da domandarsi, articolo concluso? In realtà, ancora no, perché gli autori ritengono necessario, nel momento di discutere quanto descritto nel loro contributo, proporre alcuni ulteriori spunti sul tema proposto. Li raccolgono, nell’ambito della quarta sezione del loro contributo, in tre distinte aree, quella dei problemi metodologici e teorici legati allo studio della dominanza nella specie umana, quella degli effetti esercitati dal genere sull’utilizzo e modellamento delle strategie di dominanza e quella delle dinamiche sociali derivate dall’interazione tra dominanza e prestigio.

E così, si giunge, alfine, alle conclusioni, quinta sezione di questo articolato e complesso lavoro. Che, in sostanza, confermano, laddove ce ne fosse stato bisogno, quanto la dominanza, con il suo repertorio comportamentale e gli aspetti cognitivo-emozionali della psicologia che la caratterizzano, mantenga un ruolo tutt’altro che trascurabile nel modellare le strategie che gli esseri umani utilizzano per la definizione e la gestione delle gerarchie e del rango/status. D’altronde, viene da pensare, e gli autori in diversi passaggi del loro contributo si premurano di sottolinearlo, proprio le basi evoluzionistiche che la sostengono, e da più parti da tempo riconosciute, rendono quella conclusione più che verosimile, per certi versi quasi attesa. Senza però, al contempo, arrivare a negare quanto lo sviluppo di altre dimensioni della relazionalità, quale, tra tutte, quella cooperativa, insieme alla comparsa e all’operare dei fenomeni dell’evoluzione culturale abbiano contribuito a modificare, in forma più o meno sostanziale e a seconda dei contesti e dei momenti storici, la centralità della dominanza nel modellare i processi di definizione del rango/status nella specie umana.

A chiosa conclusiva della recensione, l’articolo di Zeng, Cheng e Heinrich, per l’esaustività e chiarezza della trattazione, la completezza dei dati di ricerca descritti e la ricchezza e aggiornamento delle fonti bibliografiche citate può essere considerato lettura vivamente consigliata a chi si interessi del tema, variegato e complesso, della relazionalità umana, e nello specifico della dimensione del rango, quando osservata secondo le lenti, euristicamente complesse, della teoria dell’evoluzione.

18/01/2023

Cristiano Ardovini
Medico, Psicoterapeuta, ARPAS Roma

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

  • Boehm C. (2012) Moral Origins: The Evolution of Virtue, Altruism, and Shame. Basic Books, New York
  • Liotti G. (2001) Le opere della coscienza. Raffaello Cortina Editore, Milano
  • Schjelderup-Ebbe T. (1922). Beiträge zur Sozialpsychologie des Haushuhns [Observation on the social psychology of domestic fowls]. Zeitschrift für Psychologie und Physiologie der Sinnesorgane. Abt. 1. Zeitschrift für Psychologie, 88, 225–252.
  • Tomasello M. (2019) Becoming Human: A Theory of Ontogeny. Belknap Press, Cambridge. Tr. it. Diventare umani. Raffaello Cortina Editore, Milano, 2019

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