di Cristiano Ardovini, Cecilia La Rosa, Maria Giuseppina Mantione, Alessandra Muscetta, Maria Ricci.
Giovanni Fioriti Editore.
recensione di Alessandra De Coro
Questo libro, pubblicato alla fine dell’anno scorso, è un volume collettaneo che raccoglie saggi firmati da diversi autori, ma è concepito, in realtà, come una presentazione unitaria di un modello teorico-clinico di intervento sui disturbi del comportamento alimentare, disturbi che, pur avendo tradizionalmente l’incidenza massima in adolescenza, sono sempre più frequentemente osservati anche negli adulti, giovani e meno giovani.
Come Giovanni Liotti sottolinea nella sua presentazione al volume, “l’aspetto più originale del modello di co-terapia dei DA delineato in questo libro è il tentativo di fondarlo su una prospettiva unitaria” (p.IX), cioè la prospettiva cognitivo-evoluzionista. Gli Autori, infatti, riprendono il modello psicopatologico costruito in questi anni da Liotti e collaboratori, che coniuga la teoria cognitiva degli schemi interpersonali dissociati (Bucci, 1997) con la teoria dell’attaccamento (Bowlby, 1988) e con la teoria dei sistemi motivazionali basata sulla psicologia evoluzionista (Liotti, 2001; Liotti e Monticelli, 2008; Liotti e Farina, 2011).
Il primo saggio è appunto un capitolo introduttivo sull’approccio diagnostico ai disturbi del comportamento alimentare, dove anche la rassegna della letteratura appare guidata da un filo conduttore piuttosto chiaro: possiamo comprendere la natura psicopatologica di questi disturbi solo se ampliamo la prospettiva dall’osservazione dei comportamenti all’indagine sulle rappresentazioni mentali (cognitivo-affettive-motivazionali) che quei comportamenti sottendono. Tali rappresentazioni (o schemi) costituiscono la base dei comportamenti interpersonali disfunzionali (in questo caso associati alla disregolazione delle condotte alimentari) e hanno origine dalle passate esperienze di attaccamento, in questo caso prevalentemente traumatiche. Sono proprio gli aspetti traumatici delle esperienze infantili, ripetutamente messi in luce nei casi clinici riportati dai diversi saggi contenuti nel volume, a giustificare il funzionamento dissociativo della mente di questi pazienti, suggestivamente esemplificato dalla fotografia riportata sulla copertina del libro: un burattino in legno in cui manca l’area anatomica del bacino, manca cioè il collegamento fra la testa e il busto, in alto, e le gambe, in basso. L’immagine rimanda così con evidenza all’interruzione delle connessioni fra cognizione, emozione ed azione, ma anche fra la mente e quelle sensazioni viscerali, spesso concentrate nell’apparato digerente, che si ritiene siano il nucleo della vita affettiva nella primissima infanzia (si veda Bucci, 1997, ma anche Lichtenberg, 1989).
Tutti gli Autori degli altri quattro capitoli, dedicati rispettivamente all’esplicitazione della prospettiva teorica, alla discussione dell’alleanza terapeutica con questi pazienti, alla definizione del modello integrato di co-terapia e alla presentazione più estesa di due casi clinici, sono concordi nel riportare la constatazione che, nelle storie narrate dai pazienti con disturbi alimentari, la loro infanzia appare costellata da esperienze difficili nelle relazioni primarie, tali da provocare risposte traumatiche e disorganizzazione nei modelli di attaccamento. Si pone allora il problema clinico fondamentale: come ripristinare la possibilità di fiducia di questi pazienti nella relazione terapeutica, se la stessa alleanza terapeutica viene messa continuamente in discussione, quando pure riesca a formarsi, in virtù dell’angoscia sollevata ancora più intensamente dall’attivazione delle motivazioni di attaccamento? Il più delle volte, infatti, il sistema motivazionale di rango, con le sfide e le rotture relazionali implicate dall’attivazione della competizione, tende a prevalere su quello di attaccamento fino a rendere impossibile una sana cooperazione fra paziente e terapeuta.
La proposta di una co-terapia integrata, illustrata e discussa soprattutto nei capitoli 4 e 5 del volume, appare una risposta coraggiosa e complessa a questi interrogativi. Come scrivono Mantione e Ardovini nel capitolo 4, “la presenza di più terapeuti di certo incrementa la complessità della relazione ma, al contempo, ne diventa elemento protettivo” (p.53). La riattivazione di modelli relazionali disgreganti e disorganizzati, infatti, trova nella co-terapia la possibilità di risposte integrate grazie alla costante comunicazione fra i diversi terapeuti; la/il paziente vive se stesso come più attivo nella relazione con setting diversi e i terapeuti, grazie alla condivisione del modello e alla reciproca comunicazione, acquistano a loro volta maggiore sicurezza, proteggendosi dagli attacchi di una/un paziente diffidente.
Inoltre, la multidimensionalità del setting (dove due terapeuti “alleati”, psicoterapeuta e nutrizionista, si occupano in parallelo della mente e del corpo della stessa persona) permette alla/al paziente di riconoscere la dimensione corporea come re-integrabile in una rappresentazione di sé che spesso in questi disturbi è quella di un “puro spirito”, dissociato appunto dal corpo e dai suoi bisogni. D’altra parte, la possibilità di utilizzare due percorsi in parallelo offre alla/al paziente l’opportunità di riflettere sulle proprie difficoltà nel chiedere aiuto e nell’accogliere le indicazioni terapeutiche, che più spesso si verificano nella relazione con il nutrizionista, ma che possono nel tempo attivarsi di volta in volta nell’uno o nell’altro contesto.
Gli Autori indicano anche la possibilità di un terzo setting nell’organizzazione dell’intervento di co-terapia: l’attivazione di una psicoterapia di gruppo, che può rappresentare un passaggio di maturazione nel percorso terapeutico della/del paziente qualora si ravvisi necessario offrirle/gli una ulteriore possibilità di riflessione (grazie al rispecchiamento del gruppo) e di “sperimentazione concreta delle nuove modalità relazionali” nate negli altri contesti di terapia (p.62).
I casi clinici esposti e discussi estesamente nell’ultimo capitolo del libro, infine, aiutano il lettore a focalizzare ancor meglio l’attenzione sugli aspetti tecnici e sui possibili vantaggi della co-terapia proprio in quelle situazioni cliniche che presentano gravi difficoltà nell’instaurarsi dell’alleanza terapeutica, situazioni di cui i disturbi del comportamento alimentare rappresentano un’esemplificazione particolarmente significativa.
Commenti recenti