EVOLUZIONISMO E SCIENZE UMANE – rubrica a cura di Cristiano Ardovini (presentazione di Antonio Onofri)
James Chisholm: Attachment and the deep history of culture. In: Thompson, R.A, Simpson, J.A. and Berlin. L.J (Eds.), Attachment. The fundamental questions. The Guildford Press, New York 2021, pp. 448, USD 55,00. (recensione di Cristiano Ardovini)
Lo studio dello sviluppo della motivazione a cooperare, secondo un’ottica informata dalla teoria dell’evoluzione, ha prodotto negli ultimi anni interessanti prospettive interpretative. A scopo esemplificativo, vale la pena di citare le riflessioni dell’antropologo Cristopher Boehm, nel suo “Morals Origin : the evolution of virtue, altruism and shame”, dove l’evoluzione ancestrale dell’egualitarismo e della cooperazione diventa fondamento per lo sviluppo del senso morale nella specie umana. O il lavoro della primatologa Sarah Bluffer-Hardy, nel suo “Mothers and the others. The evolutionary origins of mutual understanding”, dove alla condizione di accudimento cooperativo viene attribuito un ruolo fondamentale per lo sviluppo della comprensione reciproca e dell’empatia nella specie umana. O, ancora, la prospettiva dell’antropologo Michael Tomasello, in cui la motivazione biologicamente fondata a cooperare si sostanzia nella teoria dell’intenzionalità condivisa, descritta in forma organica nel suo ultimo volume intitolato “Diventare umani”.
Elemento aggregante di queste angolature esplicative, al di là del già citato medium concettuale di riferimento rappresentato dalla teoria dell’evoluzione con i suoi più recenti sviluppi, dalla “Sintesi Estesa” all’approccio “Evo-Devo”, è l’idea che la dimensione cooperativa sia aspetto imprescindibile per lo sviluppo della cultura umana, nelle sue diverse e articolati declinazioni.
E sulla stessa lunghezza d’onda si muove il pensiero di James Chisholm, biologo e antropologo evoluzionista australiano, di cui il contributo qui recensito ne rappresenta la più recente sintesi. Si tratta di un capitolo del volume del 2021 intitolato “Attachment. The fundamental questions”, in diretta continuità con un precedente e più esteso lavoro dell’autore sullo stesso tema, dal titolo “How attachment gave rise to culture” e incluso nel volume “The cultural nature of attachment. Contextualizing relationships and development” del 2017.
Chisholm ritiene che l’attaccamento nella specie umana, con l’intermediazione della motivazione a cooperare, che dal primo origina, rappresenti un prerequisito fondamentale per la nascita dei fenomeni culturali. Le sue riflessioni prendono le mosse dai contenuti di un articolo di John Bowlby del 1946, intitolato “Psicologia e democrazia”, dove a suo avviso si ravvisa l’abbozzo di un modello esplicativo delle origini evolutive umane della cooperazione e della politica. L’autore si propone di svilupparne le possibili diverse implicazioni, in particolare per quanto riguarda l’evoluzione dei fenomeni culturali, dopo averne analizzato i principali elementi costitutivi e avvalendosi di concetti derivati dall’attuale biologia evoluzionistico-evolutiva (EVO-DEVO) e dal recente movimento denominato della “storia profonda”. E ne conclude che i processi d’attaccamento permeano la cultura vincolandone le caratteristiche, definendone i confini e modellandone le forme con cui i fenomeni culturali si palesano nei diversi contesti locali. In altri termini, in estrema sintesi, dall’attaccamento, passando per la cooperazione, diadica e gruppale, alla cultura e alla dimensione politica dell’animale umano.
Chisholm, seguendo Bowlby, identifica nel legame emozionale e “incarnato” tra neonato e figura d’attaccamento il medium necessario per lo sviluppo del senso di sicurezza legato all’appartenenza a un gruppo stimato e valorizzato, definito da Bowlby con il termine di “Noità” (“We-ness”). È quindi il legame d’attaccamento, secondo questa prospettiva, a predisporre l’architettura necessaria per lo sviluppo della dimensione cooperativa diadica e dell’affiliazione ai gruppi. E a configurarsi come gruppo primigenio, in senso filogenetico e ontogenetico, dove può manifestarsi il primo abbozzo di un’identità locale di natura culturale e politica.
Ora, la ricchezza e preveggenza indiscutibili riconosciute dall’autore all’ipotesi bowlbiana sulla stretta relazione tra attaccamento, cooperazione cultura vengono limitate, a suo avviso, da due lacune concettuali.
La prima si identifica con l’assenza di una definizione dei meccanismi che la sostengono, delle modalità con cui il neonato e la madre arrivino a sviluppare la motivazione a cooperare. E la seconda con il presupporre una sorta di continuità diretta tra il gruppo originario diadico neonato-caregiver e quello politico nazionale, saltando così a piè pari la dimensione gruppale intermedia delle relazioni amicali, coniugali e familiari.
Il ricorso al concetto di “conflitto genitori-figli”, elaborato dal biologo evoluzionista Robert Trivers negli anni Settanta del secolo scorso permette di “sanare” la prima lacuna ravvisabile nelle ipotesi teoriche originarie di Bowlby sullo sviluppo del senso di “Noità”. Fornisce infatti alcuni spunti interpretativi per la comprensione delle modalità con cui, a partire dal legame di attaccamento, si crearono nella filogenesi quelle condizioni in grado di favorire la comparsa della motivazione cooperativa. Lo scenario evoluzionistico immaginato da Trivers prevede l’ineluttabile presenza di conflittualità tra la motivazione di attaccamento del neonato e quella, complementare, di accudimento della madre, visto che i due “interlocutori” della diade condividevano soltanto il 50% del loro patrimonio genetico. Nel corso del processo di ominazione, poi, lo sviluppo di una condizione sempre più pronunciata di immaturità alla nascita dei piccoli, nota come “prole inetta”, era destinata ad esacerbare la conflittualità già esistente tra genitori e figli, portando, secondo Chisholm, ad una sorta di “corsa agli armamenti”, foriera di conseguenze negative per la fitness della specie, se non calmierata. A maggior ragione se si tiene conto che l’intero carico degli oneri della cura dei piccoli gravava sulla madre, e non si erano ancora create le condizioni per lo sviluppo di quello che Sarah Bluffer-Hrdy ha definito “accudimento cooperativo”, prerogativa sociale esclusiva, nel mondo dei primati, dei callitricidi e degli esseri umani. In un simile scenario evolutivo, diventa necessario allora domandarsi quale “buon trucco”, secondo la felice espressione coniata dal filosofo Daniel Dennett, possa aver “escogitato” la Natura per impedire che la conflittualità genitori-figli evolvesse nella direzione di un’escalation tanto pericolosa da mettere a repentaglio la fitness della specie, senza, al contempo, dover rinunciare ad altri “trucchi”, come attaccamento e accudimento, che avevano già dimostrato sul campo la propria efficacia. Ed è qui che, per Chisholm, entra in scena la dimensione cooperativa quale privilegiata strategia per la modulazione delle asperità del conflitto, come sembrano suggerire i modelli elaborati dalla teoria dei giochi, considerati dall’autore significativo, se non decisivo, puntello a sostegno della sua ricostruzione evoluzionistica.
Dopo aver colmato la prima delle due lacune ravvisate nell’impianto concettuale bowlbiano sul tema della relazione tra attaccamento e cooperazione attraverso l’integrazione delle riflessioni originarie dello psichiatra britannico con i citati contributi di Trivers e della teoria dei giochi, è tempo per Chisholm di occuparsi della seconda. Quali passaggi filogenetici che dal gruppo primigenio e diadico, rappresentato dal legame d’attaccamento tra neonato e caregiver, hanno condotto alla comparsa di gruppi dalla numerosità progressivamente crescente e dalla cui esistenza sembrano dipendere i fenomeni culturali così tipici della specie umana? La necessità di trovare risposte ad un simile interrogativo nasce dalla consapevolezza che il sentimento di “Noità”, pur prendendo le mosse nel medium del legame d’attaccamento, si configura come specifico marcatore emozionale della motivazione all’affiliazione a gruppi di dimensioni crescenti, e il cui prototipo, nel pensiero di Chisholm, si sostanzia nei sistemi sociali basati sulla parentela. Sembra qui che l’autore si prefigga l’obiettivo di costruire un’ipotesi, in termini filogenetici e ontogenetici, dell’evoluzione della dimensione cooperativa da un livello originariamente diadico ad uno più propriamente collettivo, in modo da rendere ragione della comparsa dei fenomeni culturali umani. Riecheggiando, pur con le debite specificità e patenti differenze, il lavoro di Michael Tomasello, con la sua teoria dell’intenzionalità condivisa.
Per Chisholm, i sistemi sociali basati sulla parentela prendono l’avvio dallo sviluppo del legame coniugale, in cui la dimensione cooperativa, originata nel legame d’attaccamento tra neonato e caregiver, si estende alle relazioni tra adulti di sesso opposto. È dal legame di coppia così inteso che deriva la famiglia, prototipo stesso dei gruppi di parentela, destinati, nel tempo filogenetico, a una serie di sviluppi in termini di complessità e numerosità crescenti, fino alle realtà attuali nazionali e sovranazionali. Identità gruppale, affiliazione, “Noità” e fenomeni culturali accompagnano e marcano tali sviluppi, in una sorta di completamento ideale di un lungo viaggio evolutivo avviatosi con l’inizio del processo di ominazione.
La cornice teorica a cui Chisholm ricorre per le sue riflessioni sull’importanza del legame di coppia e dei sistemi sociali basati sulla parentela rimanda al movimento della “storia profonda”, centrato sull’esplorazione della storia evoluzionistica della specie umana dall’ultimo antenato comune con scimpanzé e bonobo (6 milioni di anni or sono) fino alla nascita della scrittura (circa 4000 anni fa). La sua principale differenza rispetto a un approccio più tradizionale allo studio della preistoria risiede nel suo esplicito interesse per i diversi sentimenti ed emozioni che hanno caratterizzato lo sviluppo di quello che Sarah Bluffer-Hrdy, tra gli altri, ha definito come “uomo emotivamente moderno”. E tra le emozioni su cui la “storia profonda” indirizza i suoi interessi esplorativi rientrano, a pieno titolo, quelle che rimandano al senso di “Noità”. Autore di riferimento in proposito, per Chisholm, è l’antropologo australiano Bernard Chapais, che nel 2008 ha pubblicato il lavoro “Primeval Kinship”,in cui sostiene la centralità del legame di coppia per il modellamento dell’organizzazione sociale distintiva della specie umana e per il conseguente sviluppo dei sistemi sociali basati sulla parentela.
Ecco quindi come Chisholm arriva a tratteggiare il complesso e lungo percorso filogenetico e ontogenetico che dalle relazioni d’attaccamento, attraverso lo sviluppo della dimensione cooperativa e dei sistemi sociali basati sulla parentela, ha condotto la specie umana alla sua specifica “ipersocialità”, per usare un termine caro a Tomasello, e alla sua altrettanto specifica “iperculturalità”.
A mo’ di sintetico commento di questo interessante contributo, vale intanto la pena di sottolineare come la ricostruzione proposta rimanga altamente speculativa. D’altronde, si tratta di un’evenienza ineludibile nel momento in cui si tenti una ricostruzione storico-naturale di una qualsivoglia caratteristica della specie umana, in particolar modo quando ci si rivolga ad aspetti del dominio psicologico e sociale. L’autore ne è pienamente consapevole, tanto che si premura di sottolineare quanto le sue riflessioni debbano essere considerate alla stregua di suggestioni e spunti da cui partire per eventuali futuri approfondimenti.
Ancora, l’intero impianto teorico si fonda sull’assunto della centralità della motivazione di attaccamento nel processo di sviluppo e selezione della dimensione cooperativa. E non tutti gli autori che dell’argomento si sono occupati e si occupano lo condividerebbero. Di certo non Tomasello, che nella sua teoria dello sviluppo filogenetico ed ontogenetico dell’intenzionalità condivisa sembra attribuire alla dimensione cooperativa un elevato grado di autonomia evolutiva.
In conclusione, il contributo di Chisholm propone un’ulteriore e innovativa interpretazione in termini evoluzionistici della motivazione squisitamente umana a cooperare, confermando così la recente tendenza all’impiego della cornice evoluzionistica negli studi antropologici e psicologici, in particolare rispetto al tema della cooperazione paritetica e del suo stretto rapporto con lo sviluppo dei fenomeni culturali, che in quest’ottica divengono di pertinenza anche del biologico. Tra i meriti che al lavoro di Chisholm deve senza dubbio essere riconosciuto c’è quello di aver riportato alla luce alcune intriganti riflessioni di Bowlby sull’argomento, che, al di là del loro valore euristico, confermano la poliedricità di interessi dello psichiatra britannico e al contempo ribadiscono quanto nel suo pensiero l’attaccamento dovesse essere considerato solo una delle motivazioni biologicamente fondate nella specie umana.
13 Luglio 2022
Cristiano Ardovini
Medico, Psicoterapeuta, ARPAS Roma
BIBLIOGRAFIA
- Boehm, C. Moral origins. The evolution of virtue, altruism and shame, Basic Books, New York 2012
- Bluffer-Hardy, S. Mother and others. The evolutionary origins of mutual understanding, Harvard University Press, Cambridge, 2009
- Tomasello, M. Diventare umani, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2019
- Thompson, R.A, Simpson, J.A, Berlin, L.J (Eds.) Attachment. The fundamental questions, Guilford Press, New York, 2021
- Chisholm, J.S. “How attachment gave rise to culture” in Keller, H, Bard, K.A. (Eds) The cultural nature of attachment: contextualizing relationships and development, MIT Press, Cambridge, 2017
- Bowlby, J. Psychology and democracy The Political Quarterly, 1946, 17, pag. 675
- Trivers, R. Parent–offspring conflict American Zoologist, 14, 249–264
- Dennett, D. Coscienza. Che cosa è Rizzoli Editore, Milano, 1993
- Shryock, A., Smail, D.L. (Eds.) Deep history. The architecture of past and present University of California Press, Berkeley 2011
- Chapais, B. Primeval Kinship. How pair-bonding gave birth to human society Harvard University Press, Cambridge, 2010
- Sulla materia della mente. Adelphi, Milano.
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