Emilio Vercillo e Maria Guerra ( a cura di): Clinica del trauma nei rifugiati. Un manuale tematico
Mimesis, Sesto San Giovanni 2019, pp. 358, Euro 28.00.
di Marta Lepore
Clinica del trauma nei rifugiati, così come espresso nel sottotitolo, può essere considerato un “manuale tematico” che nasce dall’esigenza di condividere le difficoltà teorico-pratiche che emergono nel lavoro con i rifugiati e quali risorse e strategie siano state messe in campo nella pratica clinica, apportando le necessarie modificazioni al trattamento.
Si tratta di un testo che risulta utile per i professionisti del settore ma anche per operatori e lettori che siano interessati al tema del trauma nei rifugiati. Ogni capitolo può essere letto indipendentemente ed è accompagnato da vignette cliniche che ben esemplificano l’importante lavoro degli autori.
Il volume presenta numerosi contributi, i cui autori, esperti in diversi contesti, approfondiscono la tematica del trauma nei rifugiati sul piano teorico, della prassi di intervento, del metodo; per cui il valore di questo libro è determinato dalla possibilità di trovare, in un unico testo, approfondimenti teorici ma soprattutto indicazioni cliniche e terapeutiche specifiche.
Il manuale fornisce valide indicazioni su come orientarsi nel momento della diagnosi e dell’intervento terapeutico, su quali modificazioni comporti la presenza di un interprete o di un mediatore culturale nella stanza di terapia (argomento ben approfondito nel capitolo 7), su come trovare le caratteristiche comuni a ogni essere umano anche nella declinazione patologica.
Il 1° capitolo, a mio avviso propedeutico per la lettura dell’intero volume, fornisce un essenziale inquadramento del problema, spiega le differenze tra disturbo post traumatico da stress e trauma complesso, approfondisce i concetti di resilienza, stabilizzazione e trauma vicario. Uno dei due curatori del volume, Emilio Vercillo, evidenzia nel primo capitolo come nella popolazione dei rifugiati la diagnosi più frequente sia quella di C-PTSD (disturbo post traumatico da stress complesso) e come questo comporti imprescindibilmente l’impiego di alcune cautele operative, per esempio un periodo di durata variabile della fase terapeutica centrata sulla stabilizzazione invece che sull’esposizione o sulla narrazione sistematizzata dell’evento traumatico. Nel capitolo 11 si sottolinea infatti come “l’applicazione dell’approccio EMDR, accompagnato dall’approccio corporeo, principalmente volto alla stabilizzazione, sembra essere l’intervento più efficace e completo nelle psicoterapie con profughi e richiedenti asilo.”
In altri capitoli viene introdotto il quadro epidemiologico sanitario della migrazione in Italia, trattato il tema della salute mentale dei migranti e descritta una fenomenologia generale dei disturbi post-traumatici approfondendo le trasformazioni del vissuto del tempo, dei contenuti del pensiero e dell’esperienza del corpo in questa popolazione. Due capitoli (l’8 e il 9) sono dedicati alla farmacoterapia dei disturbi post-traumatici in un contesto etnico-culturale variegato. Altri interessanti contributi (i capitoli 12, 13, 14) riguardano esperienze di lavoro con i profughi all’Estero e gli interventi di gruppo anche con l’EMDR, in cui ben si rappresenta il nucleo del lavoro coi migranti, che consiste nell’aiutare persone cronicamente traumatizzate e allarmate a migliorare la propria vita quotidiana, a “sentirsi vivi nel presente in modo da aprire una finestra sul futuro”.
Il volume, pur rispettando la complessità dell’argomento, riesce a mio avviso ad organizzare molte informazioni sul tema, grazie all’unione di capacità ed esperienze dei diversi autori, risultando esaustivo e stimolando interessanti spunti di riflessione.
Marta Lepore
Psicologa, Psicoterapeuta cognitivo-comportamentale e EMDR. Centro Clinico de Sanctis, Roma
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