“Bambinate”, di Piergiorgio Paterlini
Einaudi editore, Torino 2017, pp. 152, Euro 16.50
Un’assenza caratterizza il bel romanzo, Bambinate, di Pier Giorgio Paterlini, appena pubblicato da Einaudi.
L’assenza di figure genitoriali realmente adulte, accudenti, sensibili e protettive e, appunto, davvero adulte. Quegli adulti – per carità, forse rari anche nel mondo reale, ma non assenti del tutto – capaci di una almeno un po’ accurata teoria della mente (per usare il linguaggio tecnico di noi psichiatri e psicologi) dell’altro e del bambino, che orientino e guidino l’attenzione e i propri sentimenti verso di loro.
Nel romanzo, così ben scritto – caratterizzato da una prosa quasi pittorica, secca, efficace, sempre scorrevole e certo priva di ogni retorica – gli adulti veri mancano. Sono morti, per esempio. O comunque distratti, frettolosi, inaffidabili, non presenti, insensibili, disattenti. Soprattutto proiettano sul bambino un’immagine dell’infanzia edulcorata e idealizzata, che impedisce loro di coglierne gli aspetti tragici di solitudine e di ferocia presenti negli scambi agonistici tra pari, nelle dinamiche di potere del branco, nel sadomasochismo (i perversi poliformi di freudiana memoria) che permea l’esplorazione della sessualità prepuberale. Per questo “i grandi” non si accorgono, non vedono, sono ciechi. Anzi, “ciechi come tutti”, secondo la riflessione terribilmente pessimistica del protagonista del racconto.
La lettura del romanzo, dalla trama avvincente come quella di un giallo, ci conduce rapidamente verso la scoperta del male – sì, quasi del “male assoluto” potremmo dire – presente nell’infanzia. Tra bambini-adulti. E lo fa senza cercare alcuna scusante, alcuna giustificazione, senza utilizzare alcun facile psicologismo. Senza alcun atteggiamento consolatorio. Lo fa con gli occhi di quell’Io narrante che dà voce al romanzo. Un adulto-bambino, stavolta, opposto e speculare al bambino che fu, rimasto prigioniero di eventi drammatici e traumatici. Un adulto fermo al passato, all’infanzia rubata, che non a caso troviamo a pensare tra sé e sé che quelle del bullismo – perché è questo il tema al centro della storia – sono “ferite che non guariscono. mai. non possono guarire”.
Nessuna possibile resilienza, diremmo nuovamente noi “tecnici”. Nessuna elaborazione, nessun riscatto, nessuna crescita post-traumatica. Si può solo soccombere o coltivare il rancore e il desiderio di vendetta. In maniera simmetrica a un altro adulto-bambino presente nel romanzo, il personaggio che coattivamente ripete i rituali e gli scenari dell’infanzia continuando a “sfruttare sessualmente dei ragazzi in fuga da guerre atroci….”.Ma torniamo ai bambini. “Codesta dunque l’innocenza infantile? No, Signore, no, mio Dio, essa non esiste”. E’ di Agostino di Ippona l’incipit del romanzo. Proprio di quel Sant’Agostino considerato il fondatore della psicologia. Quel sant’Agostino per il quale il male altro non era che “privatio boni”, cioè assenza di bene, e di certo non una forza assoluta autonoma e indipendente dalla storia.
Il libro genera inevitabilmente nel lettore proprio quelle riflessioni – prettamente psicologiche – che di certo volutamente l’autore ha escluso dalla narrazione. Di che cosa è il prodotto quella crudeltà? Da quali esperienze a sua volta deriva? Il male è naturale o no? O è il frutto di infanzie malate? E’ vero che i bulli e gli abusanti sono quasi sempre abusati? O questo è di nuovo solo il tentativo di voler spiegare l’inspiegabile? Di voler negare una realtà amara, terribile e sgradevole? I bambini hanno colpa? Quale la continuità tra il bambino che si è stati e l’adulto che si è diventati? Che cosa accade nelle case di questi bambini? Ci si può separare dalla propria infanzia?
I genitori, nel bel romanzo di Piergiorgio Paterlini – poco più di un racconto lungo – semplicemente non ci sono, se ci sono non vedono, se vedono non capiscono….
La psicotraumatologia ci dice che l’esposizione alla trascuratezza durante gli anni dello sviluppo della personalità non solo non protegge dal male ma che è essa stessa una delle cause sicuramente implicate in tanto male. Una delle variabili più importanti in gioco. Questo emerge dalla ricerca scientifica che si occupa di bambini.
Ma se il nostro, secondo l’autore, è un mondo senza più genitori, forse emerge anche come un mondo senza più figli.
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