Che senso ha questa vita di m…..?
After life, 2019, su Netflix
recensione di Antonio Onofri
Mi è capitato anche di consigliarla ad alcuni miei pazienti. Perché la considero davvero terapeutica, oltre che una sapiente descrizione della visione depressiva di sé, del mondo e del futuro, tanto per citare Aaron Beck.
Sto parlando della serie tv britannica After Life, l’inferno sono gli altri. Il protagonista, interpretato da un bravissimo Ricky Gervais (ritenuto uno tra i migliori comici del Regno Unito), è profondamente depresso e medita quotidianamente il proprio suicidio, dopo la morte per cancro della amata moglie e la perdita di una relazione intensa, di sostegno e cura reciproca avuta con lei.
Il tipico umorismo inglese pervade tutte le 6+6 puntate (ognuna della durata di 30’) delle due stagioni di After Life: personaggi surreali e simpaticissimi, scenette di vita quotidiana, macchiette comiche si susseguono in ogni scena. Ma il ritornello è sempre questo: dopo la morte di mia moglie la vita non ha più senso, la mia vita fa schifo, e soprattutto datemi una ragione per non ammazzarmi.
Disperazione, certo, ma anche rabbia, disprezzo, sarcasmo. Insomma il tipico repertorio che noi clinici ritroviamo in tanti nostri pazienti depressi. La vita non ha alcun senso. La resistenza, anche più o meno sottilmente aggressiva e svalutante, a ogni tentativo di conforto e consolazione da parte delle persone che gli sono – o meglio, cercano – di essergli vicine.
E anche in noi spettatori Tony, così si chiama il protagonista, almeno inizialmente suscita pena, ci appare una vittima del destino, del resto poverino ha perso la moglie, ora è chiaro che si senta depresso, non si sente più amato veramente da nessuno…. Ma a poco a poco anche in noi spettatori altre emozioni compariranno: la rabbia nei confronti dello stesso protagonista, nei confronti del suo arrogante disprezzo verso tutto e verso tutti, la sua disistima profonda di sé, mescolata però a un poco celabile e costante senso di superiorità verso amici e colleghi.
Tony sembra proprio affetto da quella shit syndrome (il pensare che la propria vita sia una vita di merda) che sempre più spesso sembra affliggere il mondo occidentale e quello anglosassone in particolare (a tal proposito vedi anche l’interessante volume Morti per disperazione e il futuro del capitalismo, di Anne Case e Angus Deaton, appena pubblicato da Il Mulino): è vero, lavora come giornalista in una piccola testata locale di un villaggio inglese, è vero, si occupa di casi senza alcuna rilevanza nazionale, è vero, vive in condizioni precarie, è vero…… può avere un senso tutto questo? Può in questa realtà trovare un significato alla propria vita? Un motivo per vivere?
Queste sono le domande-sfida che frullano in testa a Tony durante le dodici puntate.
Vi sembrano riassumibili con il non sentirsi amato? Assolutamente no! Qui il problema – come del resto per molti depressi che ho conosciuto – sembra essere il passare dal vittimismo al come faccio ad amare (sì, attivamente!) una vita così schifosa! Vi dico subito che non troverete risposte facili a questo, né retorica, né sentimentalismo. Piuttosto sforzo, fatica, sudore. Ma una fatica che il protagonista capirà a un certo punto valere la pena compiere.
A chi mai è utile quel giornale in cui scrive? A che cosa mai servirà? Sembra chiedersi Tony ogni mattina. Finchè un giorno, la giovane praticante che si ritrova in redazione tutte le mattine, seduta accanto a lui, gli dice quanto è importante per lei quel tirocinio, quanto è contenta di stare finalmente all’interno di un giornale, di quel piccolissimo giornale, di poter guardare e imparare da lui.
Direi che è lì la svolta, ma forse sono io che l’ho vista lì.
Non ci sono risposte alle domande – tutte poste in maniera del tutto laica, attenzione! – sul senso della vita, poste da questa serie TV, che esulino da un semplice prova ad amare la realtà per quello che è, non per come dovrebbe essere, la tua realtà, fatta dalle persone che incontri ogni giorno accanto a te: (il tuo cane), il tuo anziano genitore, il tuo collega, l’infermiera che assiste tuo padre anziano, la vedova che incontri sulla tomba vicina ogni volta che vai al cimitero. Punto. Tutto qua. In una parola, ancora una volta può essere solo una relazione a farci uscire dall’abisso del nichilismo e della disperazione.
Un vero gioiellino della televisione. Lo trovate su Netflix.
Antonio Onofri
Psichiatra, psicoterapeuta, fondatore di ApertaMenteWeb, Centro Clinico de Sanctis Roma
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