Film: SORRY, WE MISSED YOU. Regia di Ken Loach, 2019
Commento di ANTONIO ONOFRI
Finalmente. Qualcuno doveva pur farlo. Qualcuno doveva pur parlarne. Lo ha fatto, ne ha parlato, con un grande film dal sapore decisamente neorealista, Ken Loach, con questo suo Sorry, I missed you. Un grande regista, Ken Loach, che già conoscevamo per la sua capacità di mettere insieme temi sociali, la politica, e la vita delle persone. E dopo averci parlato di alcolismo e tossicodipendenza (con Il mio nome è Joe) della povertà economica e dei suoi effetti sulla genitorialità (Ladybird ladybird), della ignoranza digitale e delle sue ricadute sull’esistenza quotidiana degli anziani (Io, Daniel Blake), ancora una volta torna a parlarci del lavoro e delle sue condizioni disumane. Un tema di cui nessuno sembra voler più parlare. Finalmente Ken Loach riprende un discorso che sembrava scomparso dalle riflessioni intellettuali, almeno dagli anni ’70 del secolo scorso.
Certo, abbiamo tutti letto qualcosa del cosiddetto “nuovo schiavismo”, degli orari di lavoro imposti dal capitalismo neoliberista globalizzato e dalle sue multinazionali. Ma sappiamo davvero che cosa possa significare tutto questo nella vita delle persone e delle famiglie? Ed ecco che il film di Ken Loach ci aiuta a capirlo. Parlando di lavoro, il regista ormai 85enne, saggiamente sa parlarci di famiglia, di attaccamento genitori- figli, di adolescenza. Della impossibilità pressoché assoluta, per i “prestatori d’opera autonomi” (un termine che significa solo lavoratori senza limiti e senza tutele, senza assunzioni e senza garanzie, impegnati a tempo pieno in attività dove vige un’unica vera grande libertà: quella del committente) di portare avanti una vita personale e familiare un minimo decente.
E’ quello che accade a Ricky e a Abby e ai loro due figli, un maschio adolescente e una bambina di 11 anni. Quando Ricky, disoccupato da anni, trova lavoro (se tale vogliamo ancora chiamarlo) presso una grande azienda di distribuzione, trasporti e consegne, la loro vita cambierà per sempre. Non voglio addentrarmi nelle tematiche lavorative così ben descritte nel film e di cui tanti recensori hanno già scritto, bensì su un tema che mi sembra altrettanto centrale nel film: tempi di lavoro disumano significano figli trascurati, significano stanchezza eccessiva e indisponibilità emotiva, significano assenza, lontananza, mancata sintonizzazione emotiva, non conoscenza e assenza di comunicazione tra genitori e figli. Insomma sì, proprio quella trascuratezza, fisica ed emotiva, che le scienze psicologiche mettono sempre più al centro dei disturbi della personalità, tanto da considerarla tra le condizioni traumatiche più dannose per lo sviluppo umano. Ed ecco allora che l’adolescente del film si assenta da scuola, mette in atto comportamenti delinquenziali (vi ricordate il grande studio che John Bowlby pubblicò circa 50 anni fa, sulla correlazione tra devianza giovanile e la deprivazione genitoriale?), si mostra perennemente in collera e non più contattabile emotivamente. Sarà proprio lui però a chiedere di smettere, a urlare al padre di fermarsi, di tentare una inutile liberazione dalla schiavitù del lavoro, seguito poi dalla mamma e dalla sorellina, nella scena finale del film.
La vicenda si svolge in una Inghilterra che tutto sembra meno che felix, dove l’umanità sembra potersi conservare solo nei dialoghi tra le persone, anzi questi – persino la più semplice conversazione con una sconosciuta alla fermata dell’autobus – sembrano sempre la vera e unica realtà che si contrappone al mondo disumanizzato del lavoro, a un mondo ormai senza più regole, dove lo Stato appare ormai totalmente assente, menefreghista e anche lui trascurante……
Di certo, dopo questo film, impagabile per la commozione e la indignazione che all’unisono riesce a generare nello spettatore, non si potrà più far finta di non sapere.
Un film che in certi momenti sembra ricordare il mitico Non si uccidono così anche i cavalli? di Sidney Pollack e in altri il nostro neorealismo di Ladri di biciclette. Stavolta, però, a differenza di allora, appare davvero difficile ritrovare la speranza di una imminente ricostruzione.
Antonio Onofri
Psichiatra, Psicoterapeuta, Comitato Scientifico Scuola di Specializzazione in Psicoterapia Training School, Didatta SITCC, Supervisore EMDR, Centro Clinico de Sanctis Roma.
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