Michele Procacci, Antonio Semerari (a cura di): Ritiro sociale. Psicologia e clinica, Erikson, Trento 2019, pp. 346, Euro 24,50
di Alessia Zangrilli
La dimensione dell’estraneità è l’abituale rappresentazione che i pazienti con ritiro sociale hanno di se stessi. Coloro che ne soffrono si percepiscono dolorosamente diversi dagli altri e, in base alle concomitanti manifestazioni sintomatologiche eventualmente presenti, vengono inseriti in quadri diagnostici molteplici. In comune, hanno il caratteristico scarso accesso alle emozioni (che tendono a controllare, inibendosi o disregolandosi), l’ideazione che può tendere alla paranoia (esitando in franchi disturbi del pensiero), e i sentimenti cronici di non appartenenza.
Quest’opera ci parla appunto di questo. E’ divisa in due sezioni principali (psicologia e clinica) e si articola complessivamente in dieci saggi che presentano il ritiro sociale dal quadro di insieme fino agli specifici risvolti clinici, come dimensione psicopatologica trasversale riconoscibile, ma non sempre efficacemente trattata.
Già dall’introduzione dei curatori viene presentata la distinzione tra le diverse forme di ritiro sociale. La fenomenologia dell’isolamento, esito della combinazione di fattori come ansia, depressione, anedonia e tendenza all’attivazione del sistema della minaccia nell’interazione con l’altro, si delinea nel volume in maniera progressivamente più completa, attraverso il confronto con costrutti come quello della rejection sensitivity e quello della social cognition.
Il nucleo che, attraverso la lettura, emerge come intrinsecamente connesso alle diverse (e diversamente gravi) manifestazioni psicopatologiche, é quello della disfunzione metacognitiva, che ostacola il riconoscimento (e, appunto, la regolazione) degli stati mentali, creando coartazione emotiva e non consentendo alla persona di identificare gli schemi rigidi e stereotipati che ne compromettono le abilità sociali.
Questo rigido circuito di rinforzo ricorsivo, fondato sull’evitamento (e da questo mantenuto in essere) é caratterizzato dalla profonda difficoltà di sperimentarsi nella relazione, e non consente l’acquisizione di una percezione adeguata di condivisione e appartenenza, incastrando sempre di più la persona nella morsa di se stessa.
La progressione dei contributi prende avvio da una prospettiva più generale mirata a fornire un quadro d’insieme della complessità di questo tema, e comprende i primi cinque saggi.
Coplan, Sette e Hipson aprono con una accurata disamina del ritiro sociale in età evolutiva, dalla prima infanzia alle sfide dell’adolescenza: solida e ben spiegata la sezione sui fattori di rischio e protettivi, mentre viene tracciato il filo della continuità con i disturbi dell’età adulta, concettualizzabili attraverso specifici e aspecifici predittori. Fino alla conclusione con un dovuto, ma mai scontato, riferimento all’importanza della diagnosi precoce.
Porcelli integra, attraverso il proprio contributo basato sulle neuroscienze, la visione neurobiologica del ritiro sociale, percorrendone e spiegandone i meccanismi sottesi: il riferimento esplicito appare quello della neuroanatomia del “cervello sociale”, integrato dai riferimenti ai neuroni specchio, alla mentalizzazione, e al sistema neurotrasmettitoriale della gratificazione. Ricca di spunti ne appare la declinazione attraverso le diverse manifestazioni psicopatologiche, dalla schizofrenia al disturbo depressivo maggiore.
Efficace e acuta segue la riflessione di Brasini, ispirata alla teoria evoluzionista dei sistemi motivazionali. Alla luce di questa, la strategia evolutiva in base alla quale gli individui ricercano, come vantaggioso, il mantenimento dei legami affiliativi, manifestando contestualmente distress alla separazione e all’esclusione, viene proposta come chiave di lettura del concetto di “solitudine motivante”, intesa come condizione di disagio che cerca rimedio nella prossimità con l’altro. Interessante la distinzione epistemologica tra isolamento e solitudine, nell’intendimento di quest’ultima come “sentimento” e, quindi, non soltanto oggettivamente non quantificabile, ma anche soggettivamente percepibile come desiderata, oscillante tra il significato rinforzante di “indipendeza” e quello, doloroso, della perdita del conforto della sicurezza.
L’autore approfondisce ulteriormente il tema riprendendo la lettura di Giovanni Liotti fondata sulla Teoria Evoluzionistica delle Motivazioni.
Concludono la prima parte del compendio Livia Colle, che spiega con dovizia di dettagli che cosa sia la condivisione sociale e quali ne siano gli elementi costitutivi (tra metacognizione, tempo e numeri) e Marsigli, Grassi, Parisio e Procacci, con il loro ragionamento sulle risorse e sui limiti delle nuove tecnologie, e sull’”isolamento digitale”, incubatore di fenomeni socio-culturali che possono esitare nella psicopatologia, come nei casi dei giapponesi freeter, otaku e hikikomori, o dei meglio conosciuti Avatar. Gli autori, inoltre, non dimenticano di passare in rassegna quelli che sono invece i vantaggi della digitalizzazione nella salute mentale, come la fruibilità di interventi erogati tramite social media, terapie online e applicazioni di sostegno psicologico, analizzandone limiti e potenzialità.
La sezione clinica dell’opera si apre con il lavoro di Arduino e Keller (comprensivo di casi clinici) sul ritiro sociale nell’autismo, e nell’eterogeneità dello spettro. Gli autori sottolineano come la scarsa reciprocità sociale, la limitata esperienza richiestiva e l’assenza del gioco di finzione siano indicatori di funzionamento spesso osservabili nel bambino nel momento dell’inserimento nel gruppo dei pari (nido, o scuola materna), ma con possibili oscillazioni determinate dal contesto; inoltre, analizzano come tale tendenza all’isolamento possa legarsi a esperienze stressanti di vita quali quella di essere vittima di bullismo, e- in età adulta – sollevare un’importante questione di comorbilità (con disturbi quali depressione, fobia sociale, disturbi schizoide, evitante e schizotipico della personalità, e schizofrenia).
Il focus specifico su ritiro sociale e disturbi dell’umore viene posto nel saggio di De Sanctis, Fadda e Mancini: dallo stile genitoriale ipercontrollante alla bassa autostima, dall’isolamento attivo al vero e proprio ritiro su base ansiogena, gli autori percorrono le fasi della vita dell’individuo. La loro trattazione fornisce una articolata spiegazione della differenza tra la “reazione depressiva” (basata sulla “perdita”) e la depressione clinica (intesa come problema secondario alla prima ed esito di un circuito di autoinvalidazione ricorsiva), entrambe riscontrabili nei pazienti con ritiro sociale e integratamente affrontabili con gli strumenti caratteristici della terapia cognitivo comportamentale come l’attivazione comportamentale, il social skills training e la ristrutturazione cognitiva.
Il ritiro sociale incentrato sulla personalità é invece affrontato da Semerari, Carcione e Procacci: la connotazione cognitivista della loro lettura ben rende la sfumata, ma profonda, complessità di questa dimensione, definita dagli stessi autori un “crocevia” tra ansia, depressione, mentalizzazione e social cognition. I casi clinici riportati accompagnano il lettore nella visione “applicata” dell’orientamento proposto, lasciando emergere con naturalezza similitudini e differenze tra le diagnosi delineate ed il funzionamento cognitivo, emotivo e relazionale dei pazienti. Il saggio si conclude con riflessioni specifiche per i disturbi di personalità evitante, schizoide, borderline e narcisista, senza trascurare l’ideazione paranoide ed il delirio.
A Tarbox-Berry spetta la trattazione del problema del ritiro nei disturbi psicotici, e il filo che collega sintomatologia attiva e negativa, così come prodromi ed acuzie, viene reso secondo una logica di circolarità, in cui il ritiro é premorboso, marker sensibile del rischio psicotico, ma allo stesso tempo esasperato dalla gravità della sintomatologia florida successiva. Interessante il rimando al monitoraggio dei pazienti nel tempo, così come l’enfasi sull’importanza della valutazione strutturata.
Concludono il compendio Pontillo, Gargiullo, Santonastaso, Tata, Vicari e Nicolò, con il loro percorso dalla concettualizzazione al trattamento. Gli autori, muovendo dal caso clinico presentato, esplorano i concetti di “anedonia sociale” e di asocialità primaria e secondaria, definiscono i sintomi negativi di appiattimento affettivo, alogia ed avolizione, e concludono con una schietta disamina dei protocolli terapeutici fino a oggi disponibili, evidenziandone risorse e criticità.
Il volume si chiude con un’appendice, a cura di Mallozzi e Silvestre, che offre una panoramica degli strumenti di valutazione utilizzabili tanto nell’assessment clinico quanto nella valutazione del ritiro sociale nella popolazione generale e si presenta, senza dubbio, come valido vademecum della riflessione e della pratica terapeutica.
Alessia Zangrilli
Psicologa, Psicoterapeuta Centro Clinico de Sanctis Roma, Docente Scuola di Specializzazione in Psicoterapia Cognitivo-Comportamentale “Istituto Beck”.
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