Se addirittura riviste scientifiche internazionali tra le più prestigiose, come Nature e come Neuron, rivolgono la loro attenzione all’EMDR, è proprio segno da un lato che la sua efficacia clinica è ormai ampiamente riconosciuta dalla comunità scientifica e non può quindi più essere messa in discussione, dall’altro che proprio l’interesse e la curiosità verso il suo funzionamento fungono spesso da spinta propulsiva verso una maggiore comprensione dei meccanismi neurobiologici correlati alle reazioni post-traumatiche, ai disturbi psicopatologici in generale e ai diversi trattamenti di cui disponiamo.
Nel corso del 2019 sono stati infatti pubblicati tre lavori – due su Nature e uno su Neuron – che rappresentano una tappa importante nella diffusione e conoscenza dell’approccio EMDR.
La prima pubblicazione (sicuramente la più importante) è apparsa sulla prestigiosa Nature (una delle 3-4 riviste al mondo considerate il top in ambito medico-biologico): Baek J. et al. (2019): Neural circuits underlying a psycho-therapeutic regimen for fear disorders, Nature, https://doi.org/10.1038/s41586-019-0931-y
Gli Autori, indagando i possibili meccanismi coinvolti nell’approccio EMDR, ricordano come i pazienti con PTSD soffrano di frequenti ricadute e di ricorrenti episodi di paura.
Nel loro studio hanno quindi preso in considerazione uno specifico circuito neuronale che si dirama dal Collicolo Superiore (CS) e che appare coinvolto nell’estinzione delle risposte di paura.
L’indagine ha riguardato un gruppo di topi, esposti a un processo sperimentale di condizionamento per provocare una risposta di paura e quindi sottoposti a una serie di diverse stimolazioni sensoriali: tra queste, le Stimolazioni Bilaterali Alternate (SBA) sono risultate quelle in grado di provocare gli effetti più intensi in termine di riduzione della paura, aumentando l’attività del CS e del Talamo Superiore (TS).
I ricercatori hanno pertanto ipotizzato che proprio il CS – che è coinvolto nella elaborazione visivo-attentivo – possa essere responsabile degli effetti a lungo termine dell’EMDR.
Hanno infatti riscontrato una significativa riduzione delle reazioni di freezing in quei topi che avevano ricevuto una SBA, se confrontati con quelli che erano solo stati solo esposti allo stimolo condizionato. Questo dato – scrive il gruppo di Baek nelle conclusioni – appare il risultato di una modificazione di lunga durata del circuito cerebrale.
La SBA è risultata la più efficace nell’attivare i neuroni del CS (se confrontata con una stimolazione visiva non bilaterale e a un protocollo uditivo) e pertanto gli autori suggeriscono che gli effetti della SBA siano mediati proprio dall’aumento di attività di quest’ultima area. Così come l’aumento dell’attività inibitoria sinaptica nella Amigdala Baso Laterale sembrerebbe contribuire agli effetti duraturi di attenuazione della paura.
Insomma, questo gruppo di ricercatori descrive un probabile meccanismo neuronale che potrebbe spiegare gli spesso incredibili effetti terapeutici dell’EMDR: gli autori hanno infatti usato proprio le ABS per indurre una attenuazione duratura della paura nei topi; ovviamente si sono focalizzati più sul tipo di stimolazione che non sull’effettivo seguire con gli occhi la stimolazione da parte dei topi, che sarebbe risultato troppo difficile da standardizzare in questi animali. Concludono però il loro studio affermando che “dato che la SC sembra essere profondamente coinvolta nei processi di orientamento visivi e corporei, oltre che nell’attenzione coperta e aperta, questi risultati potrebbero fornire una possibile spiegazione neurobiologica degli effetti terapeutici delle procedure terapeutiche in grado di coinvolgere l’attivazione della SC”. In effetti, la SC potrebbe contribuire all’estinzione della paura sostenendo l’attività nel Talamo Medio Dorsale (TMD) e nella corteccia prefrontale e antagonizzando l’arousal emotivo correlato all’attività dell’amigdala. Il percorso SC-TMD-amigdala, che gli autori hanno descritto, potrebbe – in altre parole – essere un obiettivo centrale per un trattamento efficace del PTSD.
Il secondo articolo da tener presente è: Holmes A. (2019): Brains that learns not to fear, Nature, https://doi.org/10.1038/d41586-019-00294-8
Si tratta di un editoriale di Andrew Holmes, nella sezione News di Nature, che riprende e sottolinea l’importanza dello studio del gruppo di Baek che abbiamo appena descritto e che spiega come questa ricerca non solo prenda le mosse dalla curiosità nei confronti di un approccio terapeutico come l’EMDR, ma offra interessanti stimoli per ulteriori scoperte verso la comprensione dei meccanismi neurobiologici sottostanti il funzionamento e l’efficacia clinica dell’EMDR.
Infine, segnaliamo l’articolo appena pubblicato su Neuron: Maddox S. et al. (2019): Deconstructing the Gestalt: Mechanisms of Fear, Threat, and Trauma Memory Encoding, Neuron, 102, 3, 60-75.
In questa, che è un’ampia e interessante rassegna, gli Autori esaminano le più recenti scoperte riguardanti i meccanismi biologici della paura e i sistemi di difesa che coinvolgono strutture cerebrali come l’amigdala e integrano anche le conoscenze derivanti dagli approcci sia endocrinologici sia neurofisiologici, al fine di offrire una più ampia prospettiva relativa a come i sistemi corporei implicati nelle risposte alla minaccia possano interagire con i circuiti collegati all’amigdala nella codifica e nella elaborazione dei ricordi minaccia-correlati, tenendo conto sia dei processi top-down sia di quelli bottom-up.
Gli autori citano l’EMDR scrivendo che “si tratta di una terapia con robusti dati di efficacia clinica, evidence-based” e nella loro disamina riportano i dati di ricerca del gruppo di Baeck di cui abbiamo già parlato.
Insomma, ancora qualcuno può ritenere l’EMDR come un metodo terapeutico basato solo su distrazione, esposizione, o addirittura suggestione?
Antonio Onofri
Commenti recenti