Il cosiddetto “cognitivismo clinico” , come lo ha sempre chiamato Giovanni Liotti, fondatore insieme a Vittorio Guidano della “scuola cognitivista italiana” si è sempre distinto dal classico approccio cognitivo-comportamentale, tipicamente più di stampo anglosassone, per un minore interesse per le tecniche e i protocolli terapeutici e per una impostazione volta maggiormente a una comprensione clinica e a una concettualizzazione dei casi vista come una prerogativa indispensabile per la corretta formulazione e pianificazione terapeutica.
Il cognitivismo clinico di Giovanni Liotti ha infatti sempre guardato all’esperienza umana, a qualunque manifestazione comportamentale o attività mentale, dal particolare punto di vista della conoscenza, della sua crescita e della sua psicopatologia.
Che si tratti di pensieri, di comportamenti, o di emozioni, di fantasie, di sogni o anche di sintomi, tali attività mentale appaiono al cognitivista clinico come “forme di conoscenza” e pertanto “rappresentazioni” della realtà. Una realtà esistente e data, ma al tempo stesso mai pienamente conoscibile e rappresentabile .
Da una tale impostazione teorica si è affermato ben presto, tra i primi cognitivisti italiani, l’interesse per quelle forme di conoscenza (e quindi “rappresentazioni”) che l’etologia ha proposto fin dall’inizio come “innate”, selezionate nel corso della storia evoluzionista della vita sul nostro pianeta perché vantaggiose alla sopravvivenza e alla riproduzione, e quindi conservate attraverso i millenni.
Un interesse, quello per l’etologia, che fin dagli anni ’70 del secolo scorso avvicinò i padri fondatori del cognitivismo clinico italiano, Giovanni Liotti e Vittorio Guidano (vedi l’importante volume di V.F. Guidano e G. Liotti: Processi cognitivi e disregolazione emotiva, edito da ApertaMenteWeb) al pensiero e all’opera di John Bowlby, che pur provenendo dal mondo psicoanalitico britannico, andava guardando con rigore e curiosità agli studi e alle acquisizioni dell’etologia tedesca e inglese, fino a formulare quella Teoria dell’Attaccamento, che fu una vera e propria rivoluzione teorica e operativa nel campo della psicologia e delle scienze umane.
Concetti come epistemologia evoluzionista, accoppiamento strutturale tra organismo e ambiente, imprinting, vennero visti come contributi decisivi per spiegare quelle “aspettative innate”, quelle “tendenze all’azione”, quelle “disposizioni comportamentali” che sempre di più informarono il pensiero di John Bowlby e insieme a lui dei cognitivisti italiani come Guidano e Liotti, che con quello stabilirono un legame anche personale di stima e amicizia.
In particolare Giovanni Liotti sembra essere rimasto sempre particolarmente fedele a quella impostazione, mantenendo sempre uno stretto rapporto con la Teoria dell’Evoluzione e le acquisizioni che in quel campo di interesse andavano crescendo.
Ecco quindi che l’interesse per la Teoria dell’Attaccamento si allargò allo studio delle diverse e molteplici motivazioni innate (Sistemi Motivazionali Interpersonali) fornendo al clinico una interessante teoria, utile fondamento per la comprensione del comportamento umano.
Siamo pertanto felici di inaugurare su questo nostro portale ApertaMenteWeb una rubrica “fissa” dedicata a Evoluzionismo e Scienze Umane, curata da Cristiano Ardovini, medico psicoterapeuta di Roma, che con cadenza periodica seguirà per noi ciò che si muove in questo campo e che arricchirà queste pagine con contributi che saranno sicuramente apprezzati dai nostri lettori.
Insomma, stay tuned!
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